Cerco sicurezza nelle coincidenze e in piccoli riti scaramantici pre gara. Mi convinco che se nel pettorale ci sarà il numero 7 sarà un buon segno. Vale anche fare la somma e/o sottrazione di tutte le cifre che lo compongono, a patto che esca il numero 7, un numero che mi rassicura.
Il giorno prima della gara non corro, non faccio stretching, non faccio niente. Ho una nuova abitudine la sera della vigilia della gara: fare un cruciverba. Qualsiasi vecchia o nuova azione che inserisco nella routine pre gara la giustifico dicendomi “se ha funzionato quella volta allora funzionerà anche questa”.
Con il cuore altrove
Con il corpo ero a Valencia ma con il cuore ero ancora a Berlino, ferma a quel 24 settembre a correre per le strade della città che non riesco a togliermi dalla testa. Berlino era La gara della stagione. E Valencia? Cosa significava per me correre di nuovo la maratona di Valencia?
L’obiettivo non consisteva ovviamente soltanto nel correrla, ma farlo con un obiettivo ben preciso nel mirino: tagliare il traguardo in 3 ore e 19 minuti, migliorando di 2 minuti abbondanti il mio personale. Mi ero migliorata a Londra e poi a Berlino. Quante possibilità potevo avere di migliorare per la terza volta consecutiva il mio tempo sui 42 chilometri e 195 metri?
Non c’è due senza tre…
Dopo due vittorie sentivo nell’aria una possibile sconfitta. Mi faceva paura non farcela proprio a Valencia, una città in cui non ho mai trovato il mio lieto fine. E a proposito delle coincidenze di cui ho parlato in apertura, non c’è due senza tre…
Prima di partire mi sono fatta una promessa: provarci. Perché se è vero che non si può sempre vincere, è altrettanto vero che ci si può sempre provare. Ho iniziato a correre con convinzione, grinta e la concentrazione necessaria. I piedi procedevano svelti senza nessuna piastra in carbonio a dar loro supporto, ma con l’energia propulsiva caratteristica delle scarpe che ho scelto per correre questa maratona: le New Balance Fuelcell Propel v4.
Qualcosa di inaspettato
Ho passato la mezza maratona come da accordi con il coach, in 1 ora e 39 minuti. Ero nei tempi. Ho pensato subito velocemente ai chilometri che sarebbero seguiti, i più duri da gestire sotto ogni punto di vista. Ho visualizzato la strada che mi mancava da percorrere, i vialoni, le svolte e la folla di persone che aspettavano nella zona del traguardo e occupavano le vie della città.
È successo che il corpo ci abbia creduto più della testa. Ha continuato a correre anche se era stanco, anche se aveva perso brillantezza non ha rallentato ed al contrario ha aumentato la velocità. Più ero svelta e veloce e più mi sembrava di non procedere in avanti e restare ferma sul posto. Più mi avvicinavo al traguardo e più mi sembrava che quello sforzo fosse diventato insostenibile da protrarre oltre. Più cercavo inconsciamente di autosabotarmi e convincermi che anche questa volta non ce l’avrei fatta e più ero vicina al farcela.
Ho tagliato il traguardo allo stremo delle forze, con il cuore in gola e le gambe che mi cedevano. Quelle stesse gambe che credevo mi avrebbero mollato per strada già al 15° chilometro mi avevano portato a chiudere la maratona in 3 ore diciannove minuti e 14 secondi.
Tre su tre
Londra, Berlino ed ora anche Valencia. Ho corso tre delle maratone più veloci, una più velocemente dell’altra, riuscendo a migliorarmi una volta dietro l’altra. Il corpo è stato più forte della testa. Non l’ha ascoltata ed ha proseguito per la sua strada. Ero lì per correre, non per pensare di averlo potuto fare. Ero lì per correre e ho corso.
Ho corso per un altro PB, per mantenere una promessa fatta prima di partire, per poter dire un’altra volta al mio coach Matteo che ce l’avevamo fatta e per rendere partecipi della mia felicità i miei genitori che, vedendomi felice sarebbero stati felici a loro volta. Ho corso per poter scrivere queste parole che raccontano un lieto fine che tutti sognano, ma pochi hanno il coraggio di andarsi a prendere. Laddove la testa avrebbe fermato le mie gambe il cuore le ha portate fino al traguardo.