30 giugno 2021, ore 14:51
“Ciao amici, quasi certamente non riuscirò a partecipare alla Nove Colli quest’anno. Domani apre la finestra per la sostituzione partecipante fino a fine luglio. Se qualcuno fosse interessato mi faccia sapere”.
Non ho resistito alla tentazione. Ho risposto a Carlao che avrei preso io il suo posto alla cinquantesima edizione della Nove Colli. Ho pensato fosse un’occasione da non perdere.
Due opzioni di percorso, dal mare alle colline. Un evento di fama internazionale che raccoglie ad ogni edizione migliaia e migliaia di partecipanti. La curiosità di vivere l’atmosfera di questa Granfondo sulla mia pelle era fortissima.
Mi sarei confrontata sul percorso lungo. 205 km per 3840m di dislivello. Tutto un su e giù, un sali e scendi senza tregua. Nessuna salita né discesa netta. Pianura quasi assente.
“Cosa vuoi che sia per te… una passeggiata”.
Non è solo una questione di numeri. Km e dislivello ne ho sulle gambe, questo è vero. Tuttavia quando mi metto in sella non do mai nulla per scontato, perché mai nulla è scontato. Questa volta la differenza l’avrebbe fatta la tipologia di percorso, molto diverso da quello a cui sono “abituata”.
Domenica mattina sveglia alle ore 4:15. Colazione alle 4:30 per poi uscire dall’hotel alle 6 in direzione delle griglie di partenza. Alle 7 l’inizio ufficiale della manifestazione. Io avrei dovuto aspettare almeno altri 40 minuti prima che arrivasse il turno di partenza della mia griglia, la marrone, l’ultima.
Si parte con i primi 30km scarsi in pianura, gli unici assieme a quelli finali. Cerco di seguire i consigli che mi sono stati dati nei giorni precedenti di prendere la scia di qualche gruppetto di ciclisti per andare via spedita.
Mi lascio velocemente Cesenatico alle spalle, scaldando la gamba sulla salita del Bertinoro prima di imboccare la strada per il primo colle: il Polenta. Curioso come in Romagna ci sia una salita che porti il nome del piatto principe della cucina bergamasca. Un pensiero ai ragazzi che gestiscono la pagina Ciclismo de Panza è stato d’obbligo.
È seguito Pieve di Rivoschio e poi il Ciola, secondo e terzo colle. Salite di circa 8km con una pendenza media che non supera il 5% ma che si presentano molto irregolari, con strappi dal 9 al 13%.
È stato poi il turno del Barbotto, Gran Premio della Montagna, sulla carta la salita più impegnativa, non più lunga di 5km ma con pendenze che sull’ultimo km arrivano fino al 18%. Nell’ultimo tratto molti i ciclisti che sono scesi dalla bici e hanno proseguito a piedi. A quella vista il pensiero è tornato a due settimane fa, quando mi trovavo sulla strada che da Tovo porta su fino al Mortirolo. Ho avuto un déjà-vu, perché in un certo senso una situazione simile l’avevo già vissuta.
Arrivata in cima alla salita, in sella alla mia bici, è iniziata la discesa che avrebbe condotto al bivio tra il percorso medio (130km – 1871m d+) e il lungo, circa all’altezza del centesimo km.
Non vedevo l’ora arrivasse quel momento. Non avevo mai pedalato circondata da così tanti ciclisti, a mio avviso davvero troppi. Percorrere in così tanti le stesse strade, per la maggior parte strette e sinuose, alla lunga ha iniziato a pesarmi. Sulle salite si creava “traffico” costringendo chi si trovava dietro a rallentare. Per riuscire a proseguire con il mio passo, facendo molta attenzione a mosse improvvise di chi mi precedeva, ho dovuto cercarmi dei passaggi. Stessa situazione ai primi ristori, troppo affollati, motivo per cui li ho saltati tutti per non restare troppo ferma.
Al bivio, come mi aspettavo, c’è stata una consistente scrematura. Da quel momento in poi sono riuscita finalmente a godermi la restante parte di strada.
Il colle successivo era il Monte Tiffi, breve ma intenso. Complice un caldo asfissiante sono arrivata provata in cima al quinto colle. Dopo un paio di bicchieri di Pepsi presi al ristoro ero di nuovo pronta per rimettermi a “ballare” sulla bici.
Meno quattro. Nella mia testa era iniziato il conto alla rovescia. Mancavano ancora il Perticara e Monte Pugliano, quello con il dislivello maggiore dell’intero percorso (511m in 9km). Infine Passo delle Siepi e Gorlo, entrambi molto brevi, 4km ciascuno, il primo più dolce, il secondo con una sorpresa finale rappresentata da un muro che tocca il 17% di pendenza. La cosiddetta mazzata finale.
Il grosso era fatto, mi ero lasciata alle spalle tutti e nove i colli. Ora restava “solo” da rientrare a Cesenatico, possibilmente prima che si scatenasse il diluvio universale. Infatti dopo il caldo massacrante sofferto sul Monte Tiffi sono arrivate delle nuvole che si sono fatte km dopo km sempre più minacciose.
Oltre alle nuvole si stava alzando anche il vento. Non si stava prospettando la migliore delle situazioni. All’ultimo ristoro ho buttato giù al volo un altro paio di bicchieri di Pepsi e un paio di crostatine per poi ripartire il più velocemente possibile.
Ho dato sfogo a tutte le energie che mi rimanevano, ma non è bastato per non prendermi una bella lavata a 15km dall’arrivo. A quel punto non mi importava, pedalavo sotto la pioggia battente senza problemi. Davanti a me visualizzavo già il traguardo finale.
Le previsioni meteo di Paolo Corazzon fatte per gli amici di Scott per la giornata di domenica sono state puntuali e precise. Non posso dire di aver escluso il fattore pioggia. Ma come dice il mio amico Pippy non siamo solubili.
Di questa Granfondo ho portato a casa una medaglia, una rosa rossa, un po’ di mal di schiena e una nuova esperienza. Un’esperienza che è stata al di sotto delle mie aspettative ma che sono comunque felice di aver fatto. Tornassi indietro sceglierei nuovamente di parteciparvi. Di questa esperienza porto a casa anche l’accoglienza e il calore della Romagna, ogni volta unica e speciale, come le persone che la abitano. Magari tornerò, sicuramente tornerò in questa terra, non so dire ancora se a ripetere questa Granfondo. Non è da escludere ma è presto per dirlo. Ora non ci penso, e archivio nella libreria della memoria un altro ricordo.
La Nove Colli ha confermato una cosa che probabilmente in cuor mio già sapevo: la montagna è insostituibile. Non c’è luogo che mi faccia sentire come quando pedalo al cospetto o sul versante di qualche montagna: il paesaggio, le strade, l’altitudine. È un viaggiare con il corpo e con la mente.