Dovevo rompere il fiato. Cercare il mio ritmo, non avere fretta perché la gara era lunga. La prima salita è iniziata dopo nemmeno 2km dalla partenza. Si è creato un classico effetto imbuto all’imbocco del sentiero che ci avrebbe condotto al Rifugio Bertone a 1977m. I corridori si sono disposti in fila indiana e ho sentito il ragazzo davanti a me dire all’amico “è finito il divertimento”. Non ho resistito dal rispondergli “dipende dal punto di vista, altri potrebbero dirti che il divertimento è appena iniziato”.
Mi piace essere sempre positiva e cercare di guardare il bicchiere mezzo pieno in ogni situazione. Nessuno stava più correndo, tutti stavano camminando con passo più o meno svelto. Lungo il sentiero affianco un ragazzo che si gira a guardarmi e mi dice “ma tu sei la ragazza dell’albergo!”. Era Luca, emiliano, che avevo conosciuto poche ore prima insieme alla sua amica Silvia. “Vedi lei com’è tranquilla? Dovremmo fare come lei” ha detto Silvia mentre facevamo colazione, tra una chiacchiera e l’altra.
Effettivamente ero apparentemente tranquilla. Ma in realtà ci mancava poco che mi scoppiasse una guerra in testa. Non ero mai arrivata a una gara senza essermi preparata con metodo nelle settimane, se non mesi, precedenti. 30km con 2000m di dislivello non si improvvisano. Cosa mi era preso? Tutti i km fatti in bici non sarebbero bastati. Pedalare è un cosa, correre un’altra. Potevo fare affidamento sulla mia resistenza, quello sì. Ma le gambe come avrebbero reagito? Le articolazioni? Le caviglie? Le ginocchia? Tanti punti interrogativi. Troppi. Nonostante tutto sono partita, forse questa volta peccando un po’ di presunzione, fiduciosa del fatto che in un modo o nell’altro sarei arrivata al traguardo.
Trascorsa un’ora dalla partenza non si sentiva più volare una mosca. Nessuno parlava più. Si sentiva solo il rumore delle suole che calpestavano il terreno. Buche, sassi e radici mi obbligavano a guardare in basso per cercare un punto di appoggio sicuro. Solo fino a quando gli alberi si sono diradati fino a scomparire, segnale inconfondibile che i 2000m di altitudine erano vicini. Di fronte a me un maestoso Monte Bianco, in tutta la sua grandezza, in tutta la sua bellezza. Ho corso con il suo sguardo puntato per tutta la balconata della Val Ferret, il sentiero panoramico più bello su cui io abbia mai corso.
Il Bianco. Una presenza silenziosa ma imponente, in grado di farmi sentire minuscola al suo cospetto, insignificante, non alla sua altezza.
Superato il Rifugio Bonatti ho proseguito lungo il Vallone del Malatrà. Era mezzogiorno passato e il sole batteva forte. Mi asciugavo le gocce di sudore che mi scendevano dalla fronte lungo il viso con la bandana degli Assault to freedom che mi ero legata al polso. Avere con me quella bandana significava avere vicino i “ miei ragazzi”, i miei amici. Loro mi hanno insegnato che la libertà va inseguita. Era quello che dovevo fare: inseguire la mia libertà.
Raggiunto il punto di ristoro presso l’alpeggio del Giouè a 2215m mi faccio riempire una flask con dell’acqua fresca e chiedo un paio di biscotti secchi da mangiare. Stavo cercando di integrare più o meno ogni ora alternando liquidi (gel) e solidi (barrette, biscotti, frutta presa ai ristori) così come mi aveva consigliato l’Olly, anche detto in amicizia il Bosa. Ho incontrato per la prima volta Oliviero Bosatelli il venerdì, il giorno precedente al Gran Trail Courmayeur. Avrebbe affrontato per la prima volta questa gara, gareggiando sul percorso dei 30km, proprio come me.
Poter confrontarmi con il ben due volte vincitore del Tor de Geantes non è stato solo interessante dal punto di vista della condivisione di consigli e suggerimenti. Ciò che mi ha lasciato a bocca aperta è stata la semplicità, l’umiltà e la bontà che è trapelata dalle sue parole e che ho visto nei suoi occhi. Disponibile a salutare chiunque arrivasse per complimentarsi con lui e scattare una foto insieme al campione, affabile, sempre con la battuta pronta. Un uomo che non è stato accecato dal successo e che ha mantenuto i piedi per terra, fatta eccezione per quando corre in montagna: in quel momento Olly spicca il volo.
Mancavano da affrontare le ultime due salite, gli ultimi due colli prima di imboccare un lungo tratto di discesa: Entre deux Sauts e Col Sapin rispettivamente a 2524m e 2435m. Era un salire senza fine: chi aiutandosi con le racchette chi, come me, appoggiando le mani sui quadricipiti, uno dietro l’altro si avanzava come tante piccole formiche.
Ci sono stati ruscelli e lingue di neve da attraversare, ma la parte più impegnativa per me doveva ancora arrivare: la discesa. Non mi piace scendere, sia che debba farlo sulle mie gambe che sulle ruote della mia bici. Preferisco di gran lunga la salita. In discesa non mi sento sicura. Oltre allo sforzo fisico mi stanco forse ancor di più a livello mentale perché sono concentrata a cercare per ogni singolo appoggio un punto in cui mi possa sentire stabile. Non riesco a “lanciarmi”, a lasciare i freni, non ce la faccio, è più forte di me.
Ho iniziato a sentire le gambe indolenzite e le caviglie affaticate. Mancavano circa 10km all’arrivo e finita la lunga discesa restava da affrontare “soltanto” l’ultimo tratto di percorso, un “su e giù” continuo. La stanchezza la sentivo tutta, ormai non vedevo l’ora di finire. Ho iniziato a incontrare escursionisti, italiani e non, di tutte le età che vedendomi arrivare mi incoraggiavano a suon di “brava, brava, alé alé”.
Quando lo sterrato ha lasciato il posto all’asfalto ho capito che il traguardo doveva essere davvero vicino, mancavano gli ultimissimi km. Con il cambio di superficie mi ci è voluto un attimo per riassestarmi e riprendere a correre abbastanza fluentemente.
Sentivo la voce dello speaker in lontananza. C’ero quasi. Vedevo l’arco gonfiabile della Scott, lo sponsor tecnico della gara, il brand che mi ha lanciato la sfida di correre questo trail. La mia prima gara dopo quasi un anno e mezzo di stop.
Non è stato emozionante riattaccare il pettorale. Quello che mi ha emozionato sono state le persone e l’affiatamento che si è creato dal primo incontro: i due ragazzi emiliani, Luca e Silvia, e tutti quelli che sono passati dallo stand Scott. Nicola, Alberto e Polly, il dream team Scott che tutti desidererebbero, che mi hanno fatto sentire una di loro. Olly, l’uomo che ha concretizzato ai miei occhi la figura di campione. Giorgio di Quick Easy Shop. Filippo e poi Luca, local brand ambassador di Scott che con la sua ospitalità ci ha fatto sentire come a casa nella bellissima Courmayeur. Ho riso tanto, scherzato con tutti e assaporato ogni secondo di un weekend indimenticabile.
Ho tagliato il traguardo saltando, ultimo gesto atletico prima di fermarmi e stendermi a terra per qualche attimo. Era stata una mazzata, una vera mazzata, ma se tornassi indietro accetterei ancora una volta di parteciparvi.
A quel punto mi era inevitabile non sorridere, qualsiasi gara di trail running che si rispetti non può dirsi davvero conclusa senza l’ultimo capitolo, il terzo tempo, vale a dire quello dei festeggiamenti. Era il momento di scaldare il polso per prendere in mano una bella birra ghiacciata e preparami al brindisi!