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Primo bikepacking: direzione mare

Primo maggio. Primo bikepacking. Prima pedalata fuori regione.

Alle 6:40 di sabato mattina ho dato il primo colpo di pedale. La temperatura era ragionevole per permettermi di partire da subito con il jersey a mezza manica, ma non senza il mio gilet. È un po’ come la coperta di Linus, l’ho indossato per la stragrande maggioranza dell’inverno e lo porto tutt’ora. Prima o poi me ne libererò, quando farà così caldo da risultare eccessivo. Per ora lo tengo, anche perché tre tasche in più fanno sempre comodo.

Nei primi km cerco di prendere temperatura e sicurezza sulla bici su cui ho montato per l’occasione la borsa sottosella.

Alle 7:25 circa avevo appuntamento con Federico a Sesto e una ventina di minuti dopo con Mattia in piazzale Loreto. La strada che ci avrebbe condotto fino a Genova era lunga.

In Porta Venezia eravamo già fermi per la prima di una lunga serie di forature. Usciamo il più velocemente possibile dalla città per toglierci dal traffico e ci immettiamo sul Naviglio in direzione Pavia.

Come da programmi non sostiamo nella città del Ticino, la attraversiamo soltanto, e proprio nel momento in cui ce la lasciamo alle spalle le prime gocce di pioggia iniziano a cadere ed appoggiarsi sui nostri caschi, poi sui nostri occhiali diventando sempre più numerose. Stava piovendo.

Proseguiamo qualche km alla ricerca di una tettoia dove fermarci e metterci almeno i copriscarpe per evitare di stare tutto il giorno con i piedi zuppi.

Nonostante la pioggia l’umore era alto, tant’è che ciascuno di noi era sempre pronto con una battuta per strappare un sorriso agli altri. Sapevamo bene che il meteo non sarebbe stato dalla nostra, ma non abbiamo voluto rinunciare al viaggio. Partire consci di quello che ci avrebbe aspettato era il primo passo per non crollare.

Verso le 12:30 passando da Bagnaria vediamo un panettiere aperto e decidiamo di fiondarci per comprare qualcosa per pranzo: un panino, un trancio di focaccia, una crostatina. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene.

Mangiamo, per fortuna all’asciutto dato che nel frattempo aveva smesso di piovere e ci rimettiamo in viaggio. Ci eravamo lasciati alle spalle i lunghi “drittoni e piattoni” della Pianura Padana per addentrarci nel vivo del percorso, quello dell’Oltrepò.

Da qui in avanti, praticamente fino a Genova, siamo stati quasi completamente i padroni della strada. Abbiamo percorso solo stradine secondarie, attraversato le colline e piccoli incantevoli borghi, circondati da 100 sfumature di verde. Era tutto un “mangia e bevi”, un sali e scendi. È qui che abbiamo accumulato metri di dislivello sui nostri ciclocomputer.

Il peso della borsa ha iniziato a farsi sentire dopo diverse ore in sella. Non che fosse difficile pedalarci, semplicemente iniziavo a sentire la stanchezza.

Superato anche il Crocefieschi, ultima asperità di giornata, la strada per Genova era tutta in discesa, sotto tutti i punti di vista. Abbiamo pedalato gli ultimi 30 km circa tutti sotto acqua battente, ma poco importava perché ormai la meta era vicina. Siamo arrivati al B&B fradici, sporchi ma comunque appagati.

Domenica mattina avremmo potuto andare al mare… ma non lo abbiamo fatto. Abbiamo ripreso le bici e, questa volta senza borse, lasciate al B&B, ci siamo rimessi a pedalare. Ci aspettava un percorso con meno km ma più dislivello: Passo del Turchino via Acquasanta, a seguire il Passo Faiallo, Tiglieto e a concludere Capanne di Marcarolo e Piani di Praglia. Un giro ad anello tutto sull’appennino ligure-piemontese.

Siamo partiti con il sole, per immergerci nella nebbia lungo la salita del Faiallo, per poi ritrovare il sole a Tiglieto e proseguire con un cielo coperto sul resto del tragitto.

Non sentivo la stanchezza del giorno precedente, probabilmente nemmeno ci pensavo. Ero troppo presa da tutto il resto, dai profumi, dai rumori, dai colori, da tutto ciò che non puoi cogliere fino a quando pedali a bordo di uno “stradone” con le macchine che ti sfrecciano accanto. Ero troppo impegnata a raccogliere ogni singola sensazione ed emozione per riuscire a sentire la stanchezza. Forse perché in fondo non ero poi così stanca.

Ci sono molti aspetti che mi rimarranno impressi di questo weekend: la fase preparatoria del venerdì, dal proteggere il telaio della mia bici con il nastro isolante per fare in modo che lo strofinare delle borse non lo rovinasse, allo scegliere cosa mettere nella borsa sottosella (vestiti, da bici e non, l’essenziale per il beauty, gli integratori per due giorni, i documenti, ecc) pur riuscendo comunque a dimenticarmi qualcosa di fondamentale per il post pedalata, cioè le scarpe da tennis. Non dimenticherò le chiacchiere, i racconti e gli aneddoti dei miei compagni d’avventura, non solo durante le pedalate, ma anche e soprattutto durante i momenti conviviali, come la cena del sabato sera, seduti di nuovo al tavolo di un’osteria a ridere degli inconvenienti della giornata appena trascorsa (come per esempio le mie tre forature).

O ancora la sosta domenicale a Campo Ligure per il pranzo, seduti sui gradoni di una chiesa a mangiare un toast e bere una Coca Cola come da nostra (cattiva) abitudine sempre prima di affrontare una salita.

Andare in bici è bello, ma è bello non solo per l’attività di per sé, ma per tutto ciò che ci sta attorno: i luoghi, le persone, le esperienze che nessun altro potrà vivere al posto tuo. Sono partita da casa e sono arrivata al mare, di cui ricorderò il profumo intenso di salsedine della domenica mattina, quasi come se fosse il suo modo di darmi il buongiorno, pur sapendo che gli stavo per voltare le spalle per dirigermi verso l’entroterra.

Tornata a casa la domenica sera, in treno fino a Milano e poi in bici fino a Vimercate, mi sarei dovuta sentire sfinita, svuotata, devastata. Ma le sensazioni che ho provato sono state tutt’altre. Parto da casa con un bagaglio “leggero” per tornare con uno più “pesante” e ogni volta diverso. È come se ad ogni mio rientro aggiungessi un pezzetto al puzzle della Sara che alcuni amici definiscono, bonariamente, zingara, e che sto cercando di completare un po’ alla volta, pezzo dopo pezzo, pedalata dopo pedalata.

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La loro, la mia, la nostra idea di ciclismo
Mettere la testa a posto

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