Siamo tutti diversi. Ognuno con le proprie idee e convinzioni. Credo nel potere del confronto, nel parlare con chi ha una mentalità diversa dalla mia. Ascolto e non giudico, aspettandomi lo stesso anche dall’altra parte. Ma mi rendo conto che a volte è chiedere “troppo”.
Per alcuni ciclisti, parlo di amatori, di chi pedala solo per il gusto di farlo, esistono delle “regole” di buona condotta. C’è una stagione giusta per fare determinati tipi di percorsi e non è contemplato fare diversamente.
Ciascuno è libero di pensare quello che vuole e pedalare dove e come meglio crede. Io lo rispetto. Siete a caccia di un nuovo Kom su Strava? Un nuovo PR? Siete maniaci dei watt? No problem, come si dice in gergo testa bassa e menare.
Io però la testa la voglio tenere alta. Voglio guardarmi intorno e puntare alla vetta. Sabato scorso ho puntato al Passo dello Spluga.
[…] tu sbagli tutto, io sono quarant’anni che vado in bici, partendo da casa sono 14 ore di bici […]
Queste le parole che mi ha scritto una persona che mi conosce appena alla vigilia della partenza. Partire da casa con l’intento di raggiungere il Passo dello Spluga in bicicletta per poi fare dietrofront e rientrare è stato un azzardo, ne sono consapevole.
Sono parole che mi hanno colpito perché tra le righe ci ho letto l’intenzione di disincentivarmi e farmi rinunciare.
È il periodo sbagliato perché farà freddo in cima al passo? Mi attrezzerò per coprirmi adeguatamente, soprattutto in discesa. Farò attenzione in caso di strada bagnata o peggio ghiacciata. Terrò gli occhi ben aperti. Mi aspettano tante ore in sella? Ne sono consapevole, vedrò di gestirmi al meglio (per la cronaca, di ore totali ne ho impiegate 12 e 18 minuti, non 14).
Non è giusto cercare di smontare le ambizioni altrui solo perché sono diverse dalle nostre. Non vuoi fare una cosa? Nessuno ti costringerà a farla, ma questo non vuol dire che se non la farai tu allora nessun altro la potrà fare.
Questo non vuol dire che non accetto i consigli, anzi, ben vengano. A patto che siano consigli costruttivi e che non abbiano l’intento di farmi sentire inadeguata a fare una determinata cosa.
La mia idea di ciclismo è una giornata come quella di sabato. Parti da casa la mattina presto e inizi a pedalare. Pedali km e km tra Brianza e lungo lago. Ti ritrovi a Chiavenna dove sai inizierà la salita, una lunga salita. Ti guardi attorno e man mano che sali, tornante dopo tornante, ti accorgi di come la vegetazione stia cambiando.
Le vette delle montagne ancora innevate sono sempre più vicine. Gli alberi scompaiono e questo vuol dire che si inizia ad essere abbastanza alti in quota, sopra ai 1800m. Poi a bordo strada inizi a vedere la neve, tanta, tantissima neve, veri e propri muri. È uno spettacolo talmente bello che non riesco a spiegarlo a parole, lascio parlare le immagini.
La mia idea di ciclismo è avventura, come quella che ho vissuto sabato insieme a Mattia, Federico L. e Federico I. Siamo andati contro ciò che alcuni dicono non si DEBBA fare e abbiamo fatto quello che VOLEVAMO fare. Ne è valsa tutta la fatica e tutta la strada percorsa.
Da un anno a questa parte ho colmato i vuoti che la pandemia ha creato dentro di me con la bellezza dei paesaggi che ho raggiunto in sella alla mia bicicletta. Mi sono riempita gli occhi di meraviglia e talvolta ci è mancato poco che mi si riempissero di lacrime. Lacrime di un’emozione pura, che ti riempie il cuore. Un sentimento che mi fa sentire viva.
Questa idea di ciclismo va al di là di tutto, delle gare, della prestazione e della performance. Questa idea la devo agli Assault to Freedom. È il loro, il mio, il nostro modo di vivere il ciclismo, che piaccia oppure no.