“Ma che testa che hai!”
Me lo son sentita ripetere più e più volte in passato, e capita tutt’ora. Ovviamente son parole che sono state pronunciate sempre, o almeno credo, con un’accezione positiva, con un non detto che se si volesse esplicitare equivarrebbe a un “ma che testa che hai… per affrontare tante ore/km di allenamento/gara?!”.
Per correre, pedalare a lungo, ci vuole una buona preparazione fisica, nulla di nuovo. Ma quando cominciamo a ragionare nell’ordine di grandezza delle ore una buona gamba non basta. Vai avanti perché è la testa che ti dice di andare avanti, perché tu VUOI andare avanti.
Il mio carburante è la motivazione. Sono talmente immersa in quello che sto facendo, sull’obiettivo che mi sono prefissata, da non accorgermi dello scorrere del tempo, dei km, della stanchezza. La noia non so nemmeno cosa sia. Le motivazioni possono essere molteplici: fino a quando ho gareggiato l’obiettivo era migliorare i PB, o tagliare il traguardo come nel caso del Passatore, mentre con la bici l’obiettivo è godermi ogni singola uscita in sella, nulla di più.
Più volte mi è capitato di riflettere sul tema della percezione della fatica sulle diverse tipologie di sforzo. Ho avuto l’opportunità di confrontarmi con la psicologa Elena Cernuschi, psicologa clinica e dello sport e psicoterapeuta in formazione, conosciuta in occasione del Digital Educational Workshop organizzato da Asics lo scorso 10 marzo.
Perché a volte sentiamo fortemente la stanchezza e ci de-concentriamo negli allenamenti più “facili”, per esempio su distanze o durate più brevi, piuttosto che su quelle più sfidanti?
Elena mi ha spiegato che la differenza, dal punto di vista psicologico, ha a che fare con la facilità con cui lo sportivo entra nel cosiddetto “stato di flow“.
Il flow si riferisce a uno stato psicologico ottimale che si prova quando si è completamente immersi in un compito. Quando si raggiunge lo stato di flow durante uno sport di endurance, si perde la cognizione del tempo, ci si sente gratificati e in sintonia con ciò che si sta facendo, procedendo con una sorta di “pilota automatico”. Sostanzialmente è quello stato mentale in cui non si avvertono pensieri negativi, stanchezza e dolore che restano quasi impercettibili, sullo sfondo. Per questo motivo il flow si associa spesso alla peak performance, ovvero la prestazione sportiva in cui l’atleta si esprime al meglio delle sue possibilità.
La successiva domanda ad Elena è sorta spontanea.
Come si fa quindi a ottenere il flow, e perché non sempre lo si sperimenta?
La risposta mi è stata data con un’equazione:
obiettivi chiari + sfide + competenze + feedback immediati = flow
Come primo step per provare il flow bisogna porsi un obiettivo chiaro. Nel compito che si sta per svolgere sono due le operazioni da considerare:
- percepire un adeguato equilibrio tra sfide e competenze percepite che dipendono a loro volta da altri fattori quali riposo, preparazione fisica, personalità e valore che si attribuisce all’attività;
- avere degli strumenti, interni o esterni, che forniscano un feedback rispetto a come si sta procedendo (per esempio sentire che il respiro sta al passo o monitorare la frequenza cardiaca).
Come gestire il flow negli allenamenti più brevi?
Durante questo tipo di allenamenti può essere che non si generi nemmeno, o se ne esca più velocemente. Questo può accadere per diverse motivazioni:
- mancano obiettivi chiari (essendo breve, non ci si pone una “meta specifica”, si tende a “correre senza pensare”, senza uno scopo preciso);
- la sfida è troppo “facile”, poco incentivante rispetto alle proprie abilità;
- non ci si predispongono strumenti di feedback adeguati (“tanto, è un allenamento veloce, non guardo neanche quanto faccio…”).
Cosa fare, quindi, per predisporsi il più possibile a sperimentare lo stato di flow anche durante allenamenti brevi?
- Iniziare l’allenamento, di qualsiasi durata esso sia, prefissandosi un obiettivo ben preciso, che sia specifico, misurabile, raggiungibile ma al tempo stesso sfidante e ancora meglio se connotato nel tempo;
- cercare di porsi un obiettivo che sia focalizzato sul padroneggiare nuove competenze (obiettivo di padronanza) piuttosto che sul risultato, come potrebbe essere il tempo;
- verificare che il proprio obiettivo sia sfidante, ma al tempo stesso raggiungibile, in modo che ci sia un buon equilibrio tra la sfida e le proprie competenze;
- assicurarsi di avere un sistema di feedback immediato su come si sta procedendo, sia esso interno come le proprie sensazioni corporee o esterno come l’orologio GPS;
- praticare tecniche di meditazione o di visualizzazione per aumentare l’attenzione sostenuta e la probabilità di sperimentare il flow.
Non c’è trucco non c’è inganno. Il segreto sta nella ricerca del flow.