Like a girl. Come una ragazza.
Cosa significa fare qualcosa come una ragazza? È una domanda che continuo a pormi da domenica, quando è andato in onda un servizio al Tg2 di una donna in sella a una bici da corsa. Nel servizio sono state passate in rassegna le caratteristiche della bicicletta e sono stati messi in risalto quegli aspetti che la rendevano adatta per una donna. Tuttavia l’unica cosa che mi è rimasta impressa del servizio è stata l’immagine della donna che è passata: una donna goffa, imbranata e impacciata.
Che il ciclismo sia uno sport ancora prevalentemente maschile non è di certo un mistero per nessuno. Nel reportage andato in onda l’uomo è stato rappresentato disinvolto, sciolto e spigliato. Tutto il contrario della donna.
Vivo questo sport da pochissimo, ma la passione che provo nell’andare in bici posso paragonarla a quella che mi lega alla corsa. È una sensazione viscerale oserei dire. Vivo lo sport da amatore, non sono una professionista e non faccio parte di nessuna squadra importante. Sono semplicemente una ragazza che ama pedalare e che non si è minimamente riconosciuta nell’immagine che è stata fatta passare alla tv. Me ne dissocio completamente. E sono sicura di poter parlare anche a nome di tante altre donne cicliste.
Ho vissuto solo pochi mesi fa l’approccio a un mondo per me del tutto sconosciuto, di cui non sapevo niente. NIENTE. Ero ignorante in materia, non ho problemi ad ammetterlo. E lo sono ancora probabilmente. Il mondo della bici è complesso e variegato, con tantissime sfaccettature. C’è tanto da imparare e sapere. Quello che ho fatto è stato chiedere, informarmi, capire. Ancora oggi quando non so qualcosa o non la capisco chiedo spiegazioni. E non me ne vergogno, anzi.
Chiedere aiuto non è segnale di debolezza. Chiede aiuto chi ha sete di conoscenza. Chi decide di rimboccarsi le maniche per imparare a cavarsela da solo. Ma come succede spesso, il problema non è il cosa, ma il come. Nel servizio si è vista la donna che di fronte a una sella troppo alta ha avuto una reazione sciocca, superficiale. Perché mostrare un problema con una dinamica del genere e non diversamente? Sarebbe anche semplicemente bastato un dialogo lineare: “non credi che la mia sella non sia nella posizione corretta? Mi daresti una mano per capire se sia necessario sistemarla?”. Senza bisogno di nessuna “gag”.
Mi era stato detto, da una donna per di più, che il mondo del ciclismo mi avrebbe massacrato. Gli uomini mi avrebbero guardato con distacco, perché le donne in bici non sono ben viste, a meno che tu non vada sopra i 30 km/h, allora forse potresti cavartela. Mi ero sentita intimorita da quelle parole.
A distanza di qualche mese però, quando ci ripenso, credo che quella donna mi volesse scoraggiare. Non ne capisco il motivo, non mi sono nemmeno arrovellata il cervello per cercare di capire il perché. Ho capito a mie spese che quello che mi era stato detto, tra l’altro anche con poco tatto, non era vero. Nella mia brevissima esperienza da ciclista ho conosciuto e pedalato con un molti uomini che si sono rivelati tutti disponibili a “perdere del tempo” con me. Non mi sono MAI sentita giudicata, ma al tempo stesso non mi sono né sentita né tanto meno posta come donzella in difficoltà.
Il mio atteggiamento è stato quello di una donna in cerca di risposte. Ho ascoltato, chiesto che alcuni concetti mi venissero ripetuti, magari anche più di una volta, ho cercato di apprendere e far miei gli insegnamenti di tutti. Sono stati tanti gli uomini disposti ad aiutarmi. Galanteria? Può essere. Marpionaggine? Direi proprio di no, non ne ho mai vista, in nessuno. Sono ingenua, è vero, ma a volte faccio solo finta di esserlo. Mi rendo conto di come le persone mi stanno accanto, e del perché lo fanno.
Nel mio percorso non ho mai considerato gli uomini né come nemici né come miei salvatori. Non è una questione di sesso debole o dominante. Siamo tutti persone, e abbiamo tutti da imparare. Oggi toccherà a me, domani sarò io a insegnare qualcosa a qualcun altro.
In mezzo a tanti uomini ci sono state anche donne altrettanto preparate e disposte a condividere con me la loro esperienza sul mondo della bicicletta. Sono state meno numerose, purtroppo è un dato di fatto, ma ci sono state e ognuna di loro ha lasciato il segno. Spero di incontrarne tante altre sulla mia strada e spero che il numero di donne che deciderà di mettersi in sella ad una bici aumenti sempre più. Perché il ciclismo non ci rende dei maschiacci, meno femminili o aggraziate. Una donna che va in bici non è meno donna di una che danza, e soprattutto, per essere femminili in sella ad una bici non serve ammiccare o assumere pose o atteggiamenti provocatori.
BASTA. Basta con tutti questi luoghi comuni, questi tristi stereotipi e questo pensiero antiquato. Le donne non sono le principesse che devono essere salvate, sempre e comunque. Noi donne vogliamo trovarci nella condizione di poterci salvare da sole. Ciò che ci frega tante volte è la rivalità che regna tra di noi, quel senso profondo di invidia che ci mette le une contro le altre, quando invece dovremmo fare fronte comune. Non contro gli uomini, ma contro tutte le difficoltà che ci troveremo di fronte.