È passato poco più di un mese dal mio viaggio in Kenia (riassunto in 3 minuti in questo reel). Sembra già un ricordo lontanissimo ma allo stesso tempo sembra di essere tornata solo ieri. E sono già caduta in quelle classiche banalità che si dicono alla fine di un viaggio.
Mi ero promessa di non farlo, di cercare le parole giuste per descrivere il più fedelmente possibile la mia esperienza in Africa. Ho rimandato giorno dopo giorno, in cerca dell’ “ispirazione”. Poi ho capito che non sarebbe mai arrivata, perché molto probabilmente non esiste una o più parole che possano descrivere il Kenia. Le parole per quanto si possano avvicinare e rendere un senso della realtà, tralascerebbero alcune reazioni, sensazioni ed emozioni che si possono comprendere solo vivendole in prima persona. In questo caso le parole banalizzerebbero, ed io non voglio che accada questo. Mi è rimasta impressa la frase che Matteo, il mio coach, mi ha detto per farmi capire che impatto ha avuto nella sua vita l’incontro con Claudio, l’ideatore del 2 Running Lodge nonché coach degli atleti professionisti del 2 Running Club:
“Ero un cieco che ha conosciuto l’Africa attraverso i suoi occhi”.
È quello che mi piacerebbe riuscire a fare, seppur in minima parte, nei vostri confronti: farvi conoscere anche solo una piccola parte di Africa, con la speranza che questo sia sufficiente per convincervi che vale davvero la pena prendere e partire per fare la vostra esperienza personale in questa terra da cui abbiamo solo da imparare.
Il mio, il nostro perché non ero sola, è stato un viaggio improntato sull’allenamento: l’organizzazione e la pianificazione degli allenamenti avevano la priorità su tutto il resto. Ci svegliavamo prima dell’alba per essere “operativi” alle 6 e iniziare a correre. Questo accadeva tutti i giorni, senza alcuna eccezione. Oltre all’orario ci siamo da subito dovuti adattare ai percorsi collinari: scordatevi i drittoni pianeggianti, in Kenia è tutto un sali e scendi. Dimenticatevi anche l’asfalto perché in Kenia si corre per il 95% del tempo sulla terra rossa. All’inizio non sarà semplice gestire ciascuna di queste variabili, a cui va aggiunto l’adattamento alla quota. Non fatevi ingannare dalle immagini in cui il verde degli alberi domina incontrastato il paesaggio: Kapsabet, capoluogo della contea di Nandi dove si trova il 2 Running Lodge è a circa 2000m di quota, quindi per intenderci un po’ più in alto di Livigno. Noi non siamo abituati a vedere così tanto verde in quota, quindi in parte ti dimentichi di essere in altura, per ricordatene poi quando farai i conti con la sensazione di fiato corto e respiro spezzato che ti accompagnerà durante i primi giorni.
Se doppiare l’allenamento quotidiano, quindi uscire a correre anche il pomeriggio oltre alla mattina, era a discrezione di ciascuno. In alternativa c’era a disposizione la palestra del camp attrezzata per fare sia del potenziamento muscolare che dello stretching. Ricordo di un pomeriggio in particolare in cui una sessione di stretching si è trasformata in una sfida all’ultima canzone con Claudio e Vincenzo Lancini, noto fioterapista, uno dei tanti professionisti con cui Claudio si confronta per restare aggiornato e poter offrire ai suoi atleti i migliori trattamenti. Inutile specificare che è finita in una mezza caciara, momentaneamente interrotta da una canzone particolarmente significativa per Claudio, “In Italia” di Fabri Fibra. L’Italia, il suo paese natale che circa una ventina di anni fa ha deciso di lasciare per trasferirsi in Kenia, con tutte le difficoltà della situazione ma un grande obiettivo che lo ha animato dal giorno uno: allenare i ragazzi del posto per dare loro un’opportunità e insegnare loro a esprimere il proprio potenziale, con tutte le complicazioni e gli ostacoli del caso.
Magari qualcuno dei suoi ragazzi, tempo fa era come uno di quei bambini con cui ci siamo ritrovati casualmente a correre. Noi, “agghindati” di tutto punto con capi di abbigliamento tecnico, occhiali da sole con lenti fotocromatiche e scarpe di cui si ricorda a stento il nome di tutte le tecnologie di questo o quel momento . Al nostro fianco loro, scalzi o con ai piedi un paio di sandali o delle semplicissime ciabatte, che correvano al nostro ritmo per poi superarci senza alcun accenno di fatica. Bambini che non avranno avuto più di 6 anni, che correvano con una semplicità e una facilità disarmante. Qualcosa di totalmente naturale per loro. Naturale come la spontaneità della loro reazione nel vedere noi muzungu, in swahili uomini bianchi. Ancora mi viene da sorridere a ripensare ai loro piccoli volti con gli occhi che uscivano dalle orbite nel vederci in giro a correre, sguardi che si trasformavano di fronte a un nostro “hello” accompagnato da un sorriso. Il sorriso con cui ricambiavano il nostro saluto partiva in primis dagli occhi, che fino a qualche secondo prima facevano trasparire stupore. Quei bambini erano capaci di sorridere con gli occhi oltre che con le labbra. Io non amo particolarmente i bambini, chi mi conosce lo sa, non ne faccio un mistero, ma io di quei bambini mi sono innamorata. La sincerità e semplicità delle loro reazioni ed azioni non può lasciare indifferente nemmeno la più impassibile, come me.
Oltre a questo si aggiunge la loro profonda educazione e rispetto, valori che, appresi fin da bambini, li accompagneranno per tutta la vita. Ne ho avuto la conferma perché ho ritrovato gli stessi valori anche in tutte le persone adulte con cui ho avuto a che fare durante il mio soggiorno in Kenia. È raro oggigiorno trovare qualcuno che ti ascolti guardandoti negli occhi, prestando attenzione a quello che gli stai dicendo o raccontando senza distrarsi con il cellulare o altro. Sono realmente interessati alle risposte che dai alle loro domande, ti dedicano del tempo, e quel tempo ha un valore immenso. In quel tempo si crea una connessione tra due individui che magari, prima di quel momento, erano dei perfetti sconosciuti. Viene dato valore al rapporto con un altro essere umano. Non c’è nessuno che dialoga con l’intelligenza artificiale perché tutti i dialoghi avvengono tra persone in carne ed ossa.
Il Kenia è autentico, la vita lì è autentica, nella sua semplicità. Senza inutili sfronzoli, che se andiamo ad analizzare non portano alcun valore aggiunto alle nostre giornate, né tanto meno alle nostre vite. Al contrario, contribuiscono a renderci perennemente insoddisfatti di ciò che abbiamo perché vorremmo sempre avere di più. Non ci accontentiamo mai, o forse sarebbe meglio dire che non siamo più in grado di apprezzare quello che abbiamo, anche se poco. Riuscire ad essere felici con poco credo sia la forza più grande dei keniani e dei popoli che vivono come loro. C’è un forte senso di comunità, di aiutarsi e supportarsi l’un l’altro, sia in ambito sportivo che quotidiano. C’è il confronto costruttivo dal quale tutti possono imparare e arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Nessuno si sente arrivato, nemmeno il più grande campione, che vive e mangia insieme agli altri atleti senza nessuna mania di grandezza.
Ho trovato molta più ricchezza in Africa di quanta ce ne sia qui da noi. È una ricchezza diversa da come siamo soliti intenderla, che non dipende da cosa o quanto si possegga, ma basata su valori e principi troppo lontani e diversi dai nostri, e che per questo motivo, purtroppo, la nostra società non riuscirà mai ad applicare.
È stato tanto semplice quanto bello immergermi in una vita lenta, che detto da una che vive e a cui piace vivere a Milano stride un po’ come affermazione. Ma la realtà è che mi sono abituata molto velocemente, contro ogni pronostico. Quando sei lì ti lasci contagiare da quel mood e fai un reset dei parametri con cui giudichi la realtà. Tutto viene ricalibrato sotto un’ottica diversa. Tutto riprende una dimensione più umana.
Non starò qui a raccontarvi delle partite a Risiko, Uno e Me**a nel dopo cena che ci hanno tenuto svegli troppo a lungo, ma a cui comunque non abbiamo rinunciato nonostante la sveglia presto della mattina seguente. Ho deciso di tralasciare tutti i dettagli dei discorsi, più o meno seri, fatti con i miei compagni di viaggio, delle ore passate in veranda a prendere il sole (o ustionarsi) mentre cantavamo i più grandi successi dagli anni 90 ad oggi, o del giorno in cui abbiamo festeggiato il compleanno dell’Ultroby con una torta a tema degna del festeggiato. Non spenderò nemmeno parole sul safari nel parco nazionale del lago Nakuru o sulla visita alla Savani Tea Estate, la fabbrica del té nel cuore delle Nandi Hills, le colline del té, uno dei luoghi più suggestivi in cui abbia mai corso. Non mi dilungherò nemmeno sul giorno in cui siamo andati in gita a Iten, the home of champions, dove abbiamo anche pranzato con Nadir Cavagna e Yeman Crippa, a cui è seguito un post pranzo giocando a lupus in fabula. Potrei raccontare della visita alla Kosirai High School a cui abbiamo donato centinaia di paia di scarpe da running grazie all’iniziativa di Ready 2 Run che, nella figura di Gigi e tutte le persone che lo hanno aiutato, ha permesso di dare una seconda vita a delle scarpe non più utilizzate.
Sono successe così tante cose in 12 giorni che potrei andare avanti a scrivere di episodi e raccontare di aneddoti ed esperienze a oltranza senza far intravedere una fine. Avrei potuto selezionarne alcune, ma non me la sono sentita di fare una selezione, perché ogni momento, per quanto possa sembrare banale dall’esterno, è stato incisivo a modo suo. Così come lo sono state le persone che hanno condiviso con me questo viaggio. Gigi, Roby, Zo, Sigi, Alice, Diego, Samuel e Asto sono stati il cuore pulsante del viaggio, così come tutte le persone del 2 Running Lodge che hanno contribuito a rendere unica questa esperienza in ogni suo aspetto: il nostro super chef a cui abbiamo fatto sudare chissà quante camice visto la quantità di chapati e ugali (rispettivamente una qualità di pane molto simile alle nostre piadine e polenta di mais bianco) che gli abbiamo fatto cucinare, Claudia che ci ha assistito nello sbrigare le commissioni pratiche come cambiare gli euro in kenian shellin e prenotare l’alloggio per i due giorni di safari, David che ha ascoltato tutte le nostre richieste assecondandole per farci vivere il migliore soggiorno possibile all’interno del camp, gli atleti che si sono resi disponibili durante un pomeriggio a fare foto e autografi a ciascuno di noi e infine Claudio, una di quelle persone che ti incanti ad ascoltare e ascolteresti a oltranza, a cui ispirarsi e da cui prendere esempio.
Noi abbiamo avuto la fortuna di poter alloggiare nel 2 Running Lodge ancor prima dell’apertura ufficiale al pubblico, ma presto, molto presto, la struttura sarà pronta ad accogliere chiunque vorrà fare questa esperienza. Il Kenia non si può descrivere a parole, le parole volano, mentre quello che vivi in loco ti permea come l’inchiostro di un pennarello indelebile su un foglio di carta.
Non sono mai stata in India, ma da come ne ho sempre sentito parlare credo di poter azzardare a dire che l’India sta allo yoga così come il Kenia sta alla corsa. La corsa in Kenia ha poco a che fare con la corsa come la intendiamo qui. È qualcosa di più spontaneo e naturale, non un obbligo, una moda o peggio un’occasione per fare business. La corsa è vita, che va condivisa ed assaporata in ciascuna delle sue infinite sfumature.
Asante sana Kenya!