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GrandArdenno Trail

Le chiamavano vacanze, anche se vacanze non lo sono state mai. Ogni anno mi trasferisco per qualche settimana in montagna, all’Aprica. Continuo sia a lavorare che ad allenarmi, seppur in un contesto diverso. Anche se non sono vere e proprie vacanze cambiare aria mi fa bene. Sia il corpo che la mente ne traggono beneficio.

L’Aprica non è Livigno: è più bassa di quota (1200m vs 1800m, metro più metro meno) e ha molti meno servizi e strutture per chi si intende allenare, soprattutto per quanto riguarda la corsa. Non c’è una lunga pista ciclo pedonale, non c’è una pista di atletica e quest’anno anche la piscina è rimasta chiusa per lavori di ristrutturazione. Va meglio ai ciclisti perché l’Aprica si trova in una posizione abbastanza strategica per raggiungere il passo di Santa Cristina, il Mortirolo, il Passo del Bernina. Anche il Passo del Tonale e il Passo Gavia non sono poi così distanti, ma il mio concetto di vicinanza/lontananza potrebbe essere un po’ distorto, quindi fossi in voi mi fiderei fino a un certo punto.

Quando vengo in Aprica ho un’assoluta certezza: che io esca per correre o per farmi una pedalata, so che ovunque andrò troverò una salita ad aspettarmi. D’altronde sono in montagna: cos’altro potrebbe aspettarmi?

(Qui durante l’Aprica Vertical Race a cui ho partecipato nel 2018)

Qualche giorno prima di Ferragosto scrivo alla Lucia, una super trail runner che ho conosciuto qualche anno fa attraverso degli amici in comune. Lucia è una forza della natura: oltre a correre e andare a podio nella maggior parte delle gare di corsa in montagna a cui partecipa, va e insegna mountain bike ai bambini. Quando la incontri e ci parli sei letteralmente travolto dalla sua energia. È un vulcano in continua e costante eruzione.

Le scrivo per proporle di fare un’uscita di trail running insieme in onore dei vecchi tempi. Lei di pronta risposta mi propone di partecipare alla GrandArdenno Trail a cui lei è già iscritta. “Dai vieni, ti porto a correre sui sentieri di casa mia!”. Nel giro di 10 minuti ero iscritta.

Solo la mattina della gara ho scoperto che la GrandArdenno Trail era alla sua prima edizione. Due percorsi tra cui scegliere: il corto, di 14km e 900m di dislivello, e il lungo, di 23km e 1550m di dislivello. Un dislivello abbastanza hardcore per il mio attuale livello di allenamento in questa specialità, però decido di seguire Lucia nel percorso lungo.

La fortuna domenica mattina non ci assiste: dopo un’estate afosa e torrida è arrivata la prima vera giornata di pioggia. Lucia mi dice di essere tutto sommato contenta perché a lei piace molto correre sotto la pioggia, sopratutto in discesa. Io sono decisamente di un’altra cappella: non solo non mi piace correre quando piove, ma mi piace ancora meno correre in discesa su un sentiero bagnato, scivoloso e sconnesso. De gustibus.

Pochi minuti prima delle 8:30 ci spostiamo tutti sotto l’arco di partenza, sotto la pioggia battente, pronti a partire. Lo start è stato dato con un countdown fatto al microfono dallo speaker, in perfetto orario rispetto alla tabella di marcia.

Come in Aprica anche qui la strada inizia a salire presto, e sale subito molto ripida, prima inerpicandosi per le strette vie del paese di Ardenno, per poi addentrarsi nei sentieri boschivi, dove le fronde degli alberi ci hanno parzialmente riparato dalle gocce di pioggia. Sono stati chilometri interminabili, dove la salita non ha mollato mai, nemmeno per un momento.

Ho avuto un flashback: mi sembrava di essere tornata sul Prà di Ratt nella notte della Monza Resegone. La giornata di brutto tempo aveva limitato la luminosità in mezzo al bosco e dopo un’ora di gara io sentivo già i muscoli delle gambe bruciare. Correre era impossibile su quella parte di tracciato, o per lo meno lo era per me. Camminavo cercando di tenere un ritmo costante, appoggiando a tratti le mani sulle ginocchia e in altri sui fianchi. Ho girato la visiera del cappellino all’indietro per riuscire a vedere meglio i numerosi segnali che indicavano il sentiero, per non rischiare di sbagliare direzione annebbiata dalla fatica.

Ero rimasta da sola. Lucia era andata via con i primi, sicuramente con l’intenzione di fare bene e piazzarsi nelle prime posizioni. Per lei era la gara di casa: doveva renderle onore. Prima di partire mi aveva detto che il turning point della gara sarebbe stato al raggiungimento del Rifugio Alpe Granda.

Il mio primo obiettivo era raggiungere quel rifugio da cui sarebbe iniziata un’altrettanta lunga e interminabile discesa per tornare a valle. Uscita dal bosco sono finalmente riuscita a riprendere a correre. Dopo i primi passi, qualche smorfia e parola che non trascriverò, ho ripreso un movimento fluido delle gambe, avanzando nel bel mezzo di un prato verde che si apriva su un’ampia vista su tutta la vallata sottostante. Un paesaggio suggestivo reso ancora più d’impatto da alcune bianche nuvole basse. Una visuale che nella sua teatralità mi ha trasmesso una sensazione di pace, esattamente com’era successo durante la Filippide.

Ho raggiunto il Rifugio Alpe Granda dove sono stata accolta dal calore dei volontari, persone che riescono sempre a sorprendermi per il loro impegno e l’entusiasmo che sono capaci di trasmettermi. Parlare con loro, anche se solo per il tempo di mangiare un pezzo di banana e bere un tè caldo mentre mi infilavo l’antivento mi ha fatto dimenticare l’agonia della salita e dato la giusta predisposizione mentale per affrontare la seconda parte di gara. Mi hanno augurato un buon proseguimento di gara, salutandoci con la promessa che sarei tornata a trovarli, magari con più calma e con una giornata di sole.

Dopo i verdi pascoli e il vasto avvallamento erboso mi trovavo di nuovo in mezzo al bosco, ma questa volta in discesa. In molti avranno tirato un sospiro di sollievo. Per me invece iniziava forse la parte più impegnativa della gara. Per questo quando sento pronunciare le parole “d’ora in avanti è tutta discesa” non riesco mai ad essere veramente felice. Il realtà in questo caso il tracciato era vallonato, con dei tratti pianeggianti in cui sono riuscita a correre, alternati a dei brevi strappi in salita a cui sono seguiti, ahimè, dei lunghi tratti in discesa su ogni tipo di terreno: ciottoli, rocce, cemento, asfalto, terra, fango, non è mancata nessuna superficie nella lunga discesa verso la valle. Sapevo di dovermi lasciare andare per limitare di sovraccaricare eccessivamente i quadricipiti e le articolazioni di ginocchia e caviglia. Ma quando non mi sento sicura e stabile mi viene istintivo frenare, è più forte di me.

Gli ultimi chilometri sono stati i più difficili, faticosi e sofferti. I tornanti, le curve a gomito e i continui cambi di direzione hanno dato il colpo di grazia alle mie gambe. Anche i piedi, avvolti dalle calze zuppe e infangate, iniziavano a urlare pietà.

Allo scoccare del ventiduesimo chilometro ho tirato un sospiro di sollievo. Ho ripercorso al contrario il primo tratto di gara e, a due passi dal traguardo, sentendo pronunciare il mio nome dallo speaker, ho sorriso, dato il cinque a chi mi ha allungato la mano oltre una delle transenne e ho superato la linea dell’arrivo.

Con la medaglia di legno in una mano e un bicchiere di succo di mele dall’altra, rintronata e infreddolita non vedevo l’ora di togliermi i vestiti e le scarpe bagnate per andare a farmi una doccia calda.

A posteriori mi rendo conto che questa gara, l’ennesimo fuoriprogramma, è stata un piccolo azzardo. Il percorso, già di per sé non facile né tanto meno banale, di sicuro non è tra quelli a me più congeniali su cui mi riesco a esprimere al meglio, troppo nervoso e ripido, ma per rendermene davvero conto l’ho dovuto provare. E non me ne pento, perché se non l’avessi provato non l’avrei mai saputo. La pioggia avrebbe potuto rappresentare un grosso problema per la buona riuscita dell’evento, invece tutta l’organizzazione è stata impeccabile in ogni fase di svolgimento della gara.

Chi è rimasto particolarmente contento della mia partecipazione alla GrandArdenno Trail è mio papà, che ha molto più che apprezzato il ricchissimo pacco gara di prodotti tipici valtellinesi ricevuto all’atto di iscrizione. Oltre a lui e pacco gara a parte, anch’io sono contenta di aver partecipato e ritengo che, nonostante tutto, lo possa considerare un buon allenamento per gli obietti futuri. Confido che le gambe ne usciranno fortificate, non appena passerà l’indolenzimento con cui sto facendo i conti in questi giorni post gara. Anche perché il prossimo weekend si vola (di nuovo!) a Berlino per correre un’altra gara, questa volta tutta su strada: la Generalprobe.  

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La Filippide
Generalprobe Berliner Straßenlauf

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