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La Filippide

Ci sono viaggi, gare, trasferte, che organizzi con mesi e mesi di anticipo. Poi c’è l’eccezione che conferma la regola. C’è la trasferta mezza improvvisata, con un volo preso quasi all’ultimo momento, un’iscrizione impulsiva a una gara per cui sai già che non ti preparerai come sei solita fare, in un periodo inusuale per correre una maratona intera, in una regione d’Italia dove il 4 di agosto non sarebbe consigliato correre per 42 chilometri e spicci. A meno che tu non parta in piena notte, qualche ora prima dell’alba per risparmiarti un po’ di caldo e afa.

L’idea di correre la Filippide ha iniziato a prendere forma nella mia testa dopo averne scoperto l’esistenza e averne scritto un articolo su Runlovers. Di maratone ne ho corse tante, ma non ne avevo mai corsa una così. Da regolamento si deve correre l’intera distanza senza indossare, né tanto meno utilizzare, alcuno strumento che possa dare un riferimento spazio-temporale: niente orologio, gps, cellulare. Sei solo tu guidato dalle tue sensazioni. Una bella sfida no?

Superata una prima reazione di shock al pensiero che qualcuno potesse realmente imbarcarsi in un’avventura del genere, ho iniziato a pensare che quel tipo di persona potevo essere proprio io. Fare un’esperienza del genere può solo fortificarti, oltre che farti rendere conto di quanto davvero tu conosca te stesso. Senza nessun altro riferimento su cui poter contare sei obbligato ad affidarti a quel che ti dice il tuo corpo e la tua testa, nel bene e nel male.

Mi piace correre per performare. Mi alleno con l’obiettivo di migliorarmi, ma di base corro perché mi piace correre e in particolar modo mi piace preparare e correre la distanza della maratona. Credo che la Filippide sia una “gara” per chi ama correre al di là dei tempi e dei risultati, al di sopra di tutto e tutti. Così come Filippide corse dalla città di Maratona ad Atene un po’ a caso con il solo obiettivo di portare la notizia della vittoria degli ateniesi, così chi decide di partecipare alla Filippide parte da Chiaramonte Gulfi con il solo obiettivo di raggiungere il museo regionale di Kamarina e poter dire “C’ero anch’io”.

Una gara non per tutti e non da tutti. Sicuramente una gara da me ma anche per la mia amica Carol e il mio amico Ale, che ancora oggi resiste nella cerchia delle persone senza social, motivo per cui nelle mie Instagram stories l’ho menzionato come l’uomo anti-social, cosa che è solo sul web perché nella realtà è una persona socievolissima. È insieme a loro che ho deciso di partecipare, è con loro che ho condiviso questa esperienza davvero unica nel suo genere.

La difficoltà (se può definirsi tale) è stata uscire di casa alle 3:30 del mattino per recarsi alla partenza all’Antica Stazione di Chiaramonte Gulfi senza orologio. Pare una cosa da poco, ma per chi corre equivale quasi a uscire di casa mezzi nudi. Ma queste erano le regole, e avendo deciso di partecipare avevamo deciso di rispettare e osservare il regolamento, senza alcun sotterfugio. Ho scelto di indossare l’Ultra Vest di On, il gilet da trail da 5l per poter essere autonoma con i rifornimenti d’acqua, dato che non si sapeva quanti ristori ci sarebbero stati lungo il percorso e ogni quanto. Ho riempito una flask con sola acqua e una con una bustina di Drink Mix 160 per avere un po’ di carbo in formato liquido. Ai piedi le Cloudmonster Hyper con cui ne abbiamo fatte di cotte e di crude, dalla Monza Resegone alla Tre Campanili, tra decine di centinaia di chilometri di allenamento.

Una volta partita è stato un succedersi di eventi, più o meno incisivi, che nella loro totalità compongono il racconto di questa Filippide. Dall’incontro con Tommy e Angela a pochi minuti dal via, ai primi chilometri corsi tutti insieme nel buio della notte che avvolgeva l’area montuosa della provincia di Ragusa. Poi è arrivata la luce e con lei i muretti a secco e i canyon rocciosi tipici di questa zona della Sicilia. Abbiamo chiacchierato, ci siamo interrogati su che ore fossero, quanti chilometri fossero passati, a che ritmo stessimo correndo. Tutte domande che non avevano e non avranno mai una risposta. Ma non era importante perché in quella occasione più che mai il tempo e i numeri erano relativi.

Non ho mai vissuto un’esperienza che mi facesse rendere conto della relatività del tempo così come ha fatto la Filippide. Pensavo che sarebbe stato difficile, a tratti forse anche snervante non avere dei numeri da consultare. Non mi piace essere nella condizione di “non sapere” ma è una situazione che bisogna imparare a gestire, nello sport come nella vita. Mi reputo una ragazza indipendente, che lavora, si mantiene e provvede da sola a quello di cui ha bisogno. Sotto questo punto di vista sono abituata a prendermi cura di me stessa, durante la Filippide l’ho fatto sotto un’altra veste.

Pensando insieme alla Carol una strategia da adottare in gara, abbiamo stabilito di comune accordo che un modo per capire come stessimo andando fosse tenere un ritmo che non ci facesse mai venire il fiatone e ci consentisse di parlare senza alcun problema. L’unico momento di annebbiamento è stato poco prima di affrontare l’unico tratto di sterrato lungo il tracciato che ha preceduto il passaggio al Castello di Donnafugata. Ho sentito perdere un po’ di lucidità a causa della sveglia suonata alle 2 e le poche ore di sonno che avevo alle spalle. Un gel con caffeina mi sarebbe stato sicuramente d’aiuto, peccato che me li fossi dimenticati e avessi con me solo i Gel 100 e i Gel 160 Maurten che ho preso quando sentivo quella sensazione di stomaco vuoto non potendo basarmi su nessun timing per dosarne l’assunzione. Per riprendere lucidità ho ricorso al metodo classico: un bel bicchiere d’acqua in faccia e uno rovesciato in testa mi hanno fatto riprendere, rinfrescandomi le idee per correre gli ultimi chilometri. A quel punto ero certa si trattasse degli ultimi chilometri perché dal Castello di Donnafugata alle ore 7 era partita la Filippide Castle insieme alla Walking Donna Fugata, la prima una corsa la seconda una camminata, entrambe della distanza di circa 13 chilometri. Arrivata al Castello significava che da lì a Kamarina mancavano gli ultimi 13 chilometri della maratona.

Vedere un maggior numero di persone per strada camminare e correre è stato motivo di distrazione che mi ha aiutato a tenere la mente impegnata senza che iniziasse a pensare alla stanchezza, al tempo e ai chilometri trascorsi. Non saprei dire a cosa abbia pensato nel resto del tempo. Quando non chiacchieravo con la Carol e l’Ale credo di non aver sostanzialmente pensato a niente. Ricordo solo che a un certo punto mi son tornati in mente gli anni di quando viaggiavo in bici con borse al seguito, pedalando per chilometri e chilometri senza mai preoccuparmi della velocità o del tempo che trascorreva. In quei momenti il mio sguardo era rapito dai paesaggi che mi circondavano, dai panorami che si aprivano davanti a me, dai colori che cambiavano al variare delle luci e delle ombre. Correre in mezzo alle campagne, percorrendo strade secondarie che attraversavano contrade, salendo e scendendo dalle cunette degli altopiani mi ha fatto rivivere quelle stesse sensazioni di assoluta libertà e pace, con me stessa e con il mondo. È una sensazione che conforta e rasserena, ed è difficile provare le stesse emozioni nella vita di tutti i giorni.

Nella quotidianità è difficile riuscire ad essere sempre sereni, ma come ha dichiarato la fantastica Nadia Battocletti in un’intervista rilasciata al termine della finale dei 5000m alle Olimpiadi di Parigi “mi circondo di persone felici così, per osmosi, sono felice anch’io!”. In questo sono come Nadia, e seppur con parole diverse ho espresso esattamente lo stesso concetto qualche ora prima della sua intervista in un whatsapp inviato al mio amico Willyho attorno a me belle persone che mi fanno stare bene”.

Ho tagliato il traguardo mano nella mano con Carol e Ale, le uniche persone che sarebbero state entusiaste come lo sono stata io di prendere parte a una gara così poco convenzionale. Le uniche disposte a fare un viaggio in Sicilia di poco più di 24h per farsi una sfacchinata apparentemente senza senso alle 4:30 (circa) del mattino della prima domenica di agosto. Due persone che sono felice di avere nella mia vita, sportiva e non.

La Filippide è stata un’esperienza unica, ma questo già lo sapevo, sicuramente da ripetere prima o poi. L’isolamento spazio-temporale che tanto temevo non ha costituito un così grosso ostacolo da superare. Ho trovato il modo di gestire una situazione di discomfort cavandomela solo e soltanto con le mie forze, fisiche e mentali. È stato un ottimo esercizio di consapevolezza, oltre che un bel lungo lento messo in cantina nelle gambe prima del mio solito “ritiro” estivo all’Aprica per proseguire con gli allenamenti in preparazione delle gare autunnali.

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Tre Campanili half marathon
GrandArdenno Trail

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