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Tre Campanili half marathon

Partire con l’unico obiettivo di vedere tutti e tre i campanili che danno il nome alla gara e finire con il tagliare il traguardo come seconda donna assoluta. Non era una gara programmata né tanto meno preparata. Non sapevo nemmeno bene cosa aspettarmi. Da un lato c’era chi mi raccontava di una gara fantastica e dall’altro chi l’aveva definita usando termini poco gentili. Su un aspetto però erano tutti d’accordo: la difficoltà del percorso di gara. Un tracciato spacca gambe per l’alternarsi di continui tratti in salita e discesa, in entrambi i casi molto ripida. Asfalto, sentiero, sia battuto che roccioso, e cemento si sono alternati lungo tutti i 21km e 900mdi dislivello positivo della gara. Con queste premesse avevo già capito che sarebbe stato impossibile annoiarsi.

Ho deciso di partecipare solo qualche giorno prima. Insieme ad Ale abbiamo convinto Carol (che ci ha maledetti in tutte le lingue del mondo!) a puntare la sveglia alle 6 di domenica mattina, metterci in macchina, raggiungere Vestone per correre la Tre Campanili.

Avrebbe dovuto essere una settimana di scarico, ma come al solito lo scarico l’ho interpretato “a modo mio”: avevo accumulato oltre 350km in bici nei giorni precedenti la Tre Campanili, senza contare la Linate Runway Run, la Monza Resegone e la Pass the Spark che si sono susseguite una via l’altra nelle giornate di fine giugno. Con tanti chilometri nelle gambe e parecchio sonno arretrato le mie intenzioni di domenica erano di correre insieme ai miei amici, divertirmi e portare a casa una mia idea di questa gara di cui avevo sempre tanto sentito parlare ma che non avevo ancora mai avuto l’occasione di correre.

Tra uno sbadiglio e l’altro, senza aver fatto nemmeno 1 minuto di riscaldamento, entriamo in griglia e alle 9 in punto iniziamo a correre.

Dopo un giro attorno al paese prendiamo una strada che costeggia quello che penso fosse il fiume Chiese. Carol ed io stavamo correndo fianco a fianco tenendo un ritmo regolare e costante. Anche la strada stava salendo in maniera regolare e costante. È bastata una curva perché cambiasse tutto: in una fila indiana più o meno ordinata ci siamo ritrovati nel bosco su un sentiero stretto e ripido.

In bici ho imparato che in salita ognuno fa il suo passo, poi semmai ci si aspetta in cima. Bisogna trovare il proprio ritmo, spezzare il fiato e fare andare le gambe. Superavo dove e come potevo, senza sgomitare né stare con il fiato sul collo a chi era davanti a me. Mentre procedevo ripensavo alle parole di un signore che superato il settimo chilometro, quindi appena prima di prendere per il sentiero in salita, aveva detto a me e a Carol che eravamo in settima e ottava posizione nella classifica donne. Alzando lo sguardo avevo nel campo visivo almeno un paio di altre donne che, passo dopo passo, sono riuscita a raggiungere e sorpassare. Ha iniziato a salirmi un po’ di “carogna”, cosa che in realtà non mi capita quasi mai, e mi sono messa in testa di voler cercare di recuperare qualche altra posizione.

Mi sentivo molto strana e al tempo stesso molto bene, forte e piena di energia. Una leonessa che era appena uscita dalla gabbia. Nei passaggi nei paesi avevo continui aggiornamenti sulla mia posizione: quinta, quarta, TERZA. Raggiunto il gradino più basso del podio avevo tutte le intenzioni di difenderlo. Dal sentirmi una leonessa, e quindi predatrice, ho iniziato a sentirmi una preda in fuga. Nei primi tratti di discesa ho iniziato ad accelerare e aumentare il ritmo con l’intenzione (e la speranza) di guadagnare un po’ più di vantaggio su chi era dietro di me. Correvo senza guardare indietro, stando tuttavia molto concentrata sui rumori di eventuali passi in avvicinamento. Ho dovuto improvvisare una strategia per raggiungere l’obiettivo che mi ero posta: non dovevo pensare di non farmi superare, dovevo invece rimanere concentrata e continuare a correre esattamente come stavo facendo. Se avessi mantenuto quel ritmo non sarebbero riuscite a prendermi. Dovevo restare concentrata su di me e non sulle altre.

Penso di aver corso in discesa come mai prima, senza controllo né freni inibitori, anche nei tratti cementati, i peggiori. Quando la strada riprendeva a salire tornavo a spingere, se il sentiero si trasformava in una mezza palude infangata io entravo senza indugi nel fango. A pensarci adesso stento a riconoscermi. Se poi all’ultimo punto ristoro, in mezzo ai battiti delle mani senti qualcuno che ti incita dicendoti “vai vai che la seconda è vicina, valla a prendere!” da preda torni predatrice.

Sono riuscita a raggiungere la seconda donna e al tempo stesso a rimanere in piedi galleggiando sulle rocce scivolose e infangate dell’ultimo tratto boschivo in discesa. Mancava pochissimo, sentivo la voce dello speaker all’arrivo risuonare nell’aria. Ero fuori dal bosco e, tornante dopo tornante, le case erano sempre più fitte e vicine, le persone sempre più numerose e raggruppate per accoglierci e infonderci un po’ di grinta per lo sprint finale. Dopo un’ultima rampa di gradoni vedo a pochi metri da me le transenne della via centrale. Allungo il passo, mi lascio trasportare dagli applausi e dalle urla della gente e taglio il traguardo.

Lo speaker si avvicina subito a me complimentandosi per il piazzamento ma anche per l’acconciatura. Ho aspettato la terza donna, Anna, arrivata poco dopo, per stringerle la mano. Ero perfettamente cosciente ma in un certo senso era come se non lo fossi: ero solita vedere e vivere quelle scene dall’esterno, mentre questa volta ero io una delle protagoniste della scena.

Arrivare seconda donna assoluta alla Tre Campanili non era assolutamente nei miei piani, ma come mi ha suggerito qualcuno le cose più belle capitano quando meno te lo aspetti. Un risultato che non cambierà la vita di nessuno, tanto meno la mia, ma che se contestualizzato acquista un significato per il momento in cui è stato raggiunto, su cui farò qualche riflessione con il mio coach.

Ho solo un rimorso, se si può definire tale: aver visto solo due campanili su tre 🙂

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ASICS Pass the Spark e SUPERBLAST 2
La Filippide

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