Oggi è il giorno della mail di aggiornamento da inviare a Matteo, il mio coach. Oltre ad inserire un commento sulla piattaforma Training Peaks per ogni singolo allenamento, ogni due settimane faccio un riassunto sull’andamento complessivo oltre a fargli sapere come mi sento. Ora più che mai il benessere psico-fisico non è scontato vista la situazione che stiamo vivendo.
In molti potrebbero pensare “che senso ha seguire una tabella di allenamenti senza avere gare in programma sul lungo periodo?”. Non posso di certo biasimarli. Questa decisione ha senso nell’ottica del percorso costruito insieme al mio allenatore, che per me sarebbe insensato interrompere proprio ora.
Ho conosciuto Matteo nella palestra che frequentavo all’epoca. Seguiva una ragazza che conosco e che me ne aveva parlato bene spiegandomi il suo metodo. Così l’ho contattato chiedendogli di aiutarmi a preparare la mia prima maratona, la Firenze marathon. Era il 2016.
Da allora è stato il mio unico e solo allenatore. Insieme abbiamo preparato molte gare, e insieme abbiamo affrontato la mia gara più importante, la 100 km del Passatore. Quando ho chiesto a Matteo di farmi da supporto in bici lungo tutto il percorso della gara non c’è stata alcuna esitazione da parte sua, ha accettato promettendomi che ci sarebbe stato.
Ma prima di essere coach è stato a sua volta allievo.
All’età di 6 anni inizia la sua carriera nel ciclismo, che è proseguita fino ai 22, passando per tutte le categorie giovanili fino ad arrivare ai semiprofessionisti under 23. Terminato il liceo, d’accordo con i suoi genitori, ha provato per 1 anno a fare del ciclismo il suo lavoro, la sua professione. Non ci è riuscito.
A quel punto, dovendo scegliere una strada alternativa, ha deciso di iniziare il suo percorso alla facoltà di scienze motorie. Si è laureato nel 2004 con una tesi sul triathlon e subito dopo ha iniziato a lavorare a Verona in uno dei centri di riabilitazione sportiva Isokinetic per il recupero da infortuni e ripresa dell’attività sportiva. Si è occupato di preparazione post infortunio, anche di grave entità, di atleti di diverso livello.
Nel 2009 decide di iniziare la libera professione e proprio in questo periodo sono arrivate le prime collaborazioni, tra cui quella con il dottor Rosa, conosciuto come “l’allenatore dei keniani”.
Nel 2010 e 2011 Matteo ha seguito la nazionale cinese di maratona femminile nell’ambito di un progetto che aveva come ultimo obiettivo quello della partecipazione alle Olimpiadi di Londra.
Nel frattempo è nato il primo figlio e a meno di un anno dalle Olimpiadi ha deciso di tornare a casa e lasciare il progetto a cui si era dedicato fino ad allora.
Dal 2012 al 2018 si è dedicato per il 50% del tempo a svolgere l’attività di preparatore atletico negli sport di endurance (corsa, ciclismo e triathlon) e per l’altro 50% al lavoro in palestra. Tuttavia l’attività che preferiva era quella di consulenza all’allenamento. Dal 2018 ha scelto di farla diventare la sua unica professione e dar vita a MyBest.
Dopo aver fatto esperienza in ambito professionistico ha deciso di occuparsi solo di chi pratica un’attività sportiva agonistica ma a livello amatoriale. La sua è stata una scelta consapevole.
Gli atleti che segue spaziano dal runner alle prese con una 10 km a quello che vuole preparare la Milano-Sanremo running. Dalla gara di triathlon sprint all’Ironman. Nella ricerca del proprio limite gli atleti si vogliono mettere alla prova in modo sempre più difficile. Il ruolo di Matteo è di guidare queste persone, compatibilmente con le loro possibilità, tirando fuori il meglio di loro.
MyBest significa riuscire a tirare fuori il meglio di sé indipendentemente dal risultato cronometrico, che secondo Matteo passa in secondo piano. In primo piano c’è la ricerca della migliore prestazione di ciascuno. Il tempo diventa semplicemente una conseguenza.
Se l’atleta professionista vive sul risultato cronometrico e sulla prestazione, lo stesso non deve valere per l’atleta amatore. Se così fosse sarebbe uno sbaglio.
Negli anni Matteo non mai smesso di fare a sua volta sport. Quando ha lasciato il ciclismo e con esso la pratica di uno sport a livello agonistico, lo step successivo è stato approcciare da amatore il running, poi il triathlon per poi tornare infine al ciclismo. Dal momento in cui ha lasciato il mondo dello sport semiprofessionistico ciò che è cambiato radicalmente in Matteo è stato l‘approccio mentale alla disciplina sportiva. L’interesse si è spostato nel partecipare a una bella manifestazione, in termini di organizzazione, paesaggi, difficoltà del percorso. Di conseguenza cerca di dare il meglio di sé senza preoccuparsi di quanto tempo ci impiegherà.
Darsi un obiettivo crono non ha senso specialmente in quelle gare molto lunghe, dove entrano in gioco molte variabili e per questo diventano meno calcolabili. Un esempio potrebbe essere la mia esperienza al Passatore.
Secondo Matteo anche una gara come la maratona andrebbe corsa senza pensare al tempo. Significherebbe avere una profonda conoscenza di sé e dei propri limiti, facendosi guidare dalle proprie sensazioni e non dal cronometro. Dovrebbe essere uno degli obiettivi degli allenamenti e del coach. Forse l’obiettivo più difficile da raggiungere. Bisogna estraniarsi dal mero dato scientifico. Questo è un passaggio mentale fondamentale.
La prestazione non è fatta solo di numeri. La prestazione è la combinazione di cuore, testa e ovviamente gambe, che ci devono essere ma non comandano. A comandare è tutto il resto. Questa dovrebbe essere l’essenza dello sport, a tutti i livelli.
La tabella è uno strumento importante che il coach ha a disposizione per interagire con le persone che segue. Seguire un programma fornisce un metodo per poter capire, a posteriori, dove si è sbagliato. Altrimenti si rischierà di commettere sempre gli stessi errori.
Matteo vorrebbe insegnare con il tempo alle persone che allena a non limitarsi ad eseguire gli allenamenti in tabella ma di usarla come mezzo per conoscersi più a fondo, aiutandolo in questo modo a personalizzare ancora meglio il programma. Non è una cosa semplice, ci vuole tempo da entrambe le parti. Anche questo è un allenamento.
I momenti che più contano per Matteo sono le occasioni che ha di incontrare di persona i suoi atleti. È quello il momento in cui riesce a capire e ad entrare nella testa delle persone.
Quando incontro Matteo per svolgere i test periodici partiamo sempre da una lunga chiacchierata. Parlare di persona è diverso che sentirsi via mail o durante una telefonata. Le espressioni del volto possono esprimere aspetti che in altri modi non trapelerebbero. Avere un rapporto più personale e intimo può fare la differenza in un allenatore e di conseguenza anche nell’atleta. Lo si crea nel tempo, a volte ne serve di più, a volte di meno, con minore o maggiore difficoltà. Può anche non crearsi mai.
Lui propone la sua strategia e la sua idea di strada da seguire. Se piace e va bene si parte. In caso contrario meglio lasciare perdere. Bisogna credere in un percorso di medio/lungo periodo in cui si è disposti a imparare qualcosa.
Io ci ho creduto. Ho creduto in un percorso che mi ha portato a volte a gioire, altre a rimboccarmi le maniche per ricercare una migliore performance. Ho creduto in un rapporto basato sulla fiducia e la sincerità.
Essere seguita da Matteo mi rassicura perché so che lui sarà sempre più obiettivo di me e mi aiuterà a prendere la decisione migliore. Non contesto mai il programma degli allenamenti, perché so che è stato costruito con criterio da un professionista che mi conosce in primis come atleta ma anche come persona.
Anche se non so quando potrò tornare a gareggiare la guida di Matteo resta fondamentale, ora più che mai, per non interrompere una strada che abbiamo iniziato a percorrere insieme. La strada per conoscere me stessa.