“Sai andare in bicicletta? E allora saprai anche pedalare su una bici da corsa”. Mi dissero.
Non so se queste parole avevano l’obiettivo di tranquillizzarmi. Forse in parte. Penso che però così dicendo si sia un po’ banalizzato l’ingresso di una neofita nel mondo del ciclismo. Vi assicuro che salire su una bici da corsa non è assolutamente paragonabile al salire su una comune bicicletta da strada.
Me ne sono accorta a mie spese. Dopo esser stata da Pain Cave e aver effettuato la prima messa in sella con Alberto e l’ausilio del sistema idmatch non stavo più nella pelle: volevo salire sulla mia bici e fare qualche pedalata. Così, giusto per provare.
Scavalcando con una gamba la canna della bici mi è da subito sembrato che la sella fosse troppo alta. Sfioravo a mala pena il terreno con la punta dei piedi riuscendo a stento a stare in equilibrio. Ho fatto due o tre pedalate, non di più, seguendo una traiettoria quanto più possibile retta. Senza grandi risultati.
Assalita da mille dubbi ho scritto ad Alberto. Con poche e semplici parole mi ha spiegato che la posizione della sella era corretta. Stando seduti sulla bici da corsa i piedi non devono completamente poggiare a terra, devono solo sfiorarla leggermente. Si sale in sella solo un attimo prima di partire. Nulla di impossibile quindi. Ma nemmeno scontato.
Ho cercato in lungo e in largo un manuale che mi potesse spiegare tutte le basi e i trucchi delle due ruote per chi è agli inizi. Ci sono libri che illustrano le varie tecniche per allenarsi, altri che parlano di alimentazione e integrazione. Ma un manuale per ciclisti inesperti non l’ho trovato. Una sorta di “Cycling for dummies”.
Come fare?
Ho deciso che il modo migliore per imparare era mettermi a pedalare. Solo pedalando sarebbe emerso tutto quello che era necessario sapere. Inoltre l’apprendimento pratico sarebbe stato molto più efficace di quello puramente teorico, anche perché penso che la teoria vada sempre associata alla pratica.
La prima uscita
Ad accompagnarmi nella prima uscita è stata la mia amica Laura. Laura c’era tre anni fa, quando stavo preparando la mia prima maratona, quella di Firenze, e c’è stata per questo mio nuovo inizio. Oltre ad essere una triathleta esperta, e conoscere quindi bene come ci si muove in bici, è donna, e nessuno meglio di lei avrebbe potuto capire le mie difficoltà.
Ci avevo visto lungo. Una delle prime cose che mi ha chiesto Laura prima di metterci in sella, oltre ad accertarsi che non avessi messo l’intimo sotto i pantaloni con il fondello, è stata se avessi la crema sottosella. Ovviamente la mia risposta è stata no. Mi ha spiegato che, nonostante non fossimo state in procinto di pedalare per ore e ore, l’utilizzo di una buona crema protegge dalle infiammazioni e irritazioni da sfregamento, cercando di limitare il rischio di dolori e scomodità in sella.
Dopo essermi fatta sistemare le fascette laterali del casco bene dietro l’orecchio, ho chiesto a Laura come impugnare il manubrio.
Mentre ascoltavo la spiegazione della mia amica mi è tornato in mente il periodo in cui frequentavo lezioni di spinning. In quel momento mi sono resa conto che qualche nozione forse l’avevo già. Andava solo rispolverata. Ho assunto una posizione comoda sul manubrio, con le mani vicino al cambio ma soprattutto ai freni. Piedi sui pedali e via.
Ho deciso di indossare scarpe da running in modo tale da abituarmi un po’ alla volta. A partire dall’uscita successiva avrei iniziato a indossare le scarpe da bici con sgancio rapido.
Laura mi faceva strada e io le stavo scrupolosamente dietro. La concentrazione era massima. Mentre guardavo avanti la osservavo cercando di cogliere ogni suo piccolo movimento per imparare i gesti e le movenze.
Inizialmente mi sentivo traballante sulla bici, e temevo il momento in cui ci saremmo dovute fermare a un incrocio o a un semaforo rosso. Mi sentivo instabile. Ma ho capito in fretta che con gesti controllati e sicuri non c’era di che temere. Superato indenne il primo semaforo ho acquisito più fiducia e tranquillità.
Un momento ostico è stato capire la differenza tra corona e pignone e come utilizzare i due cambi, il destro e sinistro suddivisi a loro volta in grande e piccolo. Una vera impresa. Non mi entrava in testa quando usare uno e quando l’altro, continuavo a confondere e sbagliare tutto. Poi al posto di concentrare tutte le energie nel vano tentativo di imparare i concetti solo a memoria, ho iniziato ad ascoltare la mia bici. Muovendo una leva piuttosto che un’altra la bici reagiva in modo diverso. Ho iniziato ad ascoltare e cercare di capire questi cambiamenti.
Così facendo ho capito che:
- il pignone è l’ingranaggio posteriore, il più piccolo, ed è comandato dal cambio di destra;
- la corona è l’ingranaggio anteriore, più grande, ed è governata dai cambi di sinistra.
La presenza di ingranaggi di diverse dimensioni permette alla catena della bici di scorrervi variando il rapporto tra l’ingranaggio anteriore e il posteriore in base alla necessità, da intendere sia come condizioni del percorso (pendenza della strada, presenza di vento ecc.) sia dalle condizioni fisiche di ciascuno.
Laura ha cercato di farmi fare un po’ di pratica portandomi in giro per la Brianza su un percorso con lievi salite e discese, alternate da tratti in pianura. In un primo momento mi dava indicazioni su cosa fare, poi mi ha lasciato libera di giocare e divertirmi un po’ in autonomia. A furia di pedalare mi sarebbe venuto tutto più automatico.
L’uscita è proseguita senza complicazioni di alcun tipo. Con meno tensioni e la testa un po’ più libera di nozioni ho cominciato a godermi la pedalata. E più pedalavo, più avrei pedalato.
La seconda
Nell’uscita successiva ad accompagnarmi è stato Robi. Appassionato di trail running e snowboard, per non farsi mancare nulla si diletta anche ad andare in bici. Avevamo deciso di fare un giro nei dintorni del parco di Monza.
Era arrivato il momento di indossare le scarpe da bici con sgancio rapido.
La verità? È stato meno traumatico di quello che pensassi. L’idea di essere attaccata con le scarpe alla bici e dover fare un movimento innaturale per sganciarmi, ovvero ruotare il tallone verso l’esterno con un colpetto deciso, mi metteva un po’ d’ansia. In realtà è stato tutto molto semplice, e contro ogni previsione forse ho avuto più difficoltà ad agganciarmi che a sganciarmi.
Mentre aspettavo che Robi mi raggiungesse al punto d’incontro ho continuato a girare in tondo, agganciando e sganciando i pedalini, per cercare di abituarmi al movimento. Arrivato Robi siamo partiti: direzione parco di Monza.
Pensavo di conoscere come le mie tasche le vie di quel parco. Ci ho corso tanto e per tanti km. Ma non mi ero mai resa conto di quante buche avesse la pavimentazione del viale Cavriga finché non ci sono passata in bici. Ho prestato la massima attenzione a schivarle senza fare movimenti bruschi dato che il viale era aperto al traffico delle auto.
Mi stavo rendendo conto di quanto fosse importante non abbassare mai la guardia mentre si pedala, perché basta un niente per ritrovarsi per terra. Robi mi ha consigliato di procurarmi una luce posteriore per essere più visibile, una forma di sicurezza in primis per me ma anche per gli altri. Ci sono alcuni modelli che addirittura avvisano il ciclista con segnali sonori dell’avvicinamento di un altro veicolo.
Un po’ alla volta sentivo di essere entrata a far parte di quel mondo.
Ma per farne davvero parte mi mancava quello che definirei una specie di rito consacratore: la caduta da ferma. Non è tardata ad arrivare. Terminata la pedalata, mentre ero ferma con un piede a terra e l’altro ancora agganciato al pedale, mi sono avvicinata a Robi per salutarlo. È bastato un niente per farmi sbilanciare e in un batter di ciglia ero per terra.
Memo per la prossima volta: quando ci si ferma, sganciare entrambi i pedali.
La terza
Dopo un paio di uscite in compagnia alla terza ho voluto provare a cavarmela da sola. Ho scelto un percorso che conoscevo bene, in modo tale da non dover prestare troppa attenzione al tragitto da seguire. Percorrendo la strada della Monza-Resegone mi ero posta come obiettivo quello di arrivare fino a Caloziocorte per poi tornare indietro.
Col senno di poi avrei potuto optare per una strada meno trafficata. È risaputo che auto e ciclisti non vadano molto d’accordo. Ma con le dovute attenzioni e precauzioni da parte di entrambi si può tranquillamente convivere.
Durante la prima mezz’ora ero un po’ tesa. Mi sembrava di sentire strani rumori provenire dalla mia bici. Probabilmente era solo un po’ di suggestione. Speravo non accadesse nessun imprevisto, come per esempio bucare o far cadere la catena. Non avendo ancora la manualità e la capacità di arrangiarmi da sola, in tal caso avrei dovuto chiamare qualcuno per recuperarmi. Ma non volevo pensare alla peggiore delle ipotesi, volevo godermi il momento.
Dopo 25km sono arrivata a Caloziocorte. Ho fatto una breve sosta, mi sono sgranchita braccia, spalle e collo, ho fatto una sorsata dalla borraccia e ho imboccato la strada di ritorno.
Come spesso accade il ritorno mi è sembrato più veloce dell’andata. Tutto è filato liscio. I miei primi 50km sono volati. Dopo un paio d’ore in sella, una volta scesa dalla bici mi sentivo un po’ incriccata. Sensazione che è svanita dopo una bella doccia calda.
Non mi resta che pedalare, pedalare e pedalare!