Le premesse per correre una buona gara c’erano tutte: allenamenti condotti alla perfezione come da tabella, sensazioni positive e tanta voglia di sfidarmi in una distanza che tuttavia non sento mia. Per correre una mezza veloce si deve inevitabilmente partire veloce se si vuole stare al di sotto di un certo tempo, e a me questo non riesce bene. Il tempo da battere era 1h 43 minuti, il personal best conquistato a Vittuone lo scorso febbraio.
Ma ahimè qualcosa è andato storto: martedì sera, dopo aver corso i 3×1000 m in pista, quello che mi sembrava semplicemente un forte ma innocuo raffreddore si è tramutato in un’influenza con la I maiuscola che mi ha messo completamente ko. Questo costituiva un bel problema perché la SoRun si sarebbe corsa sabato pomeriggio e mercoledì mattina il termometro segnava 38.5°. La partecipazione alla gara mi sembrava ormai compromessa.
Ho ascoltato i consigli di tutte le persone che mi hanno scritto di stare qualche giorno a riposo per evitare di trascinare quest’influenza e mettere a repentaglio tutta la preparazione per la New York City Marathon. Con mio immenso stupore già dopo il primo giorno di riposo la febbre era scesa a 37° e io mi sentivo anche un po’ più in forze.
Venerdì la febbre era passata del tutto, mi portavo dietro solo ancora qualche sintomo, un po’ di tosse e gli strascichi di quel raffreddore che inizialmente mi aveva stroncato. Avevo riposato solo qualche giorno ma a livello di energie mi sentivo rinata.
O la va o la spacca, sabato a mezzogiorno e mezzo, dopo aver mangiato un sostanzioso piatto di riso venere integrale con qualche verdura e una banana, mi sono messa in viaggio: direzione Sondrio.
Sono arrivata con largo anticipo: ho ritirato il pettorale, numero 216, e il pacco gara, che con mio stupore oltre i vari depliant, una canottiera e una marmellatina conteneva… una fetta di formaggio Casera! D’altronde trovandomi in Valtellina potevo aspettarmelo dopo i pizzoccheri ricevuti nel pacco gara della Stralivigno.
Era una bella e calda giornata di inizio autunno, con temperature ancora troppo alte per la stagione. Ho deciso pertanto di correre con una canottiera, in particolare ho scelto quella indossata per la MoMot. Ho ricalzato dopo tempo che non le usavo le mie amate calze a compressione della CompressSport che mi hanno accompagnato in moltissime gare e come scarpe ho optato per le Brooks Levitate, che mi avevano fatto volare nella mezza del castello a Vittuone.
Alle 15:30 ho assistito alla partenza della Family Social Run, una 5 km non competitiva pensata per le famiglie e per avvicinare i bambini alla corsa.
Alle 16 ho incontrato Valerio e Antonio, due miei compagni di squadra del De Ran Clab e con loro ho fatto un rapido riscaldamento pre partenza. Con noi doveva esserci anche Fabio che purtroppo non è stato dei nostri perché, ironia della sorte, è rimasto bloccato a casa da una brutta influenza.
Poco prima dello start ufficiale ho scoperto che il percorso consisteva nel ripetere due giri dello stesso tracciato. WHAT?! In gara non amo ripercorrere una strada già battuta, psicologicamente lo trovo più pesante perché avendo preso dei punti di riferimento mi focalizzo troppo sui km che mancano godendomi meno la corsa.
Dopo essere partiti da Piazza Garibaldi e aver corso per i primissimi km nelle vie del centro in leggera discesa ci siamo diretti verso le rive del fiume Adda sul Sentiero Valtellina. La mia partenza è stata decisamente veloce, forse troppo, ma ho voluto azzardare. Se fossi riuscita a mantenere un passo inferiore a 5’00’’ al km, magari con una progressione finale, avrei condotto la gara che avevo in mente. Ma non sempre i nostri piani vanno come avevamo preventivato. Mentre i km scorrevano sul mio gps e sui cartelloni dislocati lungo il percorso sentivo le energie che mi abbandonavano a poco a poco.
Arrivata nella verde cornice del Parco Bartesaghi mancava poco per concludere il primo giro da circa 10km. Faceva ancora molto caldo e questo non mi era d’aiuto. Mentre attraversavo il ponte che mi separava da Piazza Garibaldi da cui sarebbe partito il secondo e ultimo giro ho seriamente pensato di fermarmi e non proseguire. In quel momento non riuscivo a immaginare da dove avrei potuto attingere alle energie necessarie per correre altri 10 km. Poi ho pensato che non mi ero fatta 2 ore di macchina per arrivare a Sondrio e non finire nemmeno la gara.
Le sensazioni andavano peggiorando, avevo l’impressione di correre senza però avanzare e di essere risucchiata dall’asfalto. Muovere ogni passo mi constava molta energia, ma avevo deciso che pian pianino sarei arrivata alla fine, non avrei mollato. A circa 4 km dall’arrivo davanti a me ho visto un runner camminare, probabilmente anche lui stremato e a corto di forze. L’ho raggiunto e passandogli accanto l’ho incitato “forza non mollare, ci siamo, fino alla fine!”. L’ho visto sorridere e poi riprendere a correre, così ci siamo diretti insieme verso il traguardo. Nell’ultimo tratto ho ripetuto le parole di incoraggiamento a un altro runner che stava camminando e anche lui dopo avermi sorriso ha ripreso a correre con nuova energia.
Ho tagliato il traguardo in 1h 52 minuti. Visto e considerato la febbre dei giorni precedenti e la mia condizione fisica non posso lamentarmi, mi ero posta un obbiettivo troppo alto da poter raggiungere per non essere al massimo della mia forma fisica. A volte penso di poter affrontare tutto in qualsiasi circostanza, ed è quello che faccio pensare anche a chi mi sta attorto. Tuttavia non sono un robot ma un essere umano, quindi se tiro troppo la corda il mio fisico si ribella rendendomi vulnerabile.
Ero stanchissima, distrutta, completamente esausta. Mi sono girata verso il runner con cui avevo corso negli ultimi km, gli ho dato la mano e gli ho fatto i complimenti per aver tenuto duro. Lui mi ha ringraziato e mi ha detto che senza di me e le mie parole avrebbe mollato. Mi ha fatto immensamente piacere sapere che ero stata d’aiuto a chi ne aveva avuto bisogno.
Nonostante fossi a pezzi avevo ancora un po’di lucidità per realizzare che anche questa volta non mi avevano dato la medaglia, così come era successo alla Stralivigno. Vi avevo già raccontato che valore associo alle medaglie che ricevo alla fine di ciascuna gara che porto a termine e non averla ricevuta per la seconda volta mi è dispiaciuto forse più che la prima.
Non rimpiango di aver partecipato alla SoRun nonostante non fossi al meglio della mia condizione fisica, se tornassi indietro farei la stessa scelta, magari con una strategia diversa e più cauta. Concludere una gara è sempre fonte di soddisfazione, e non sarà un risultato mancato a demotivarmi.
Gli allenamenti e appuntamenti più importanti in preparazione della maratona di New York devono ancor arrivare. La prossima gara sarà una 30 km il 14 ottobre, la Clusone Alzano Run. Non ho che da rimboccarmi le maniche, o forse dovrei dire allacciarmi le stringhe, e guardare avanti: il 4 novembre si avvicina!