In un mercoledì di metà maggio, dopo aver trascorso una mattinata di lavoro come tante altre, per spezzare la monotonia dalla pausa pranzo quotidiana mi si prospettava qualcosa del tutto diverso dal solito: una lezione di pilates.
Così, quando lo stomaco ha iniziato a borbottare e a dare i primi segnali di fame, anziché prendere la mia schiscetta preparata a casa e recarmi in sala break per consumare il mio pasto, ho impugnato il manubrio della mia fedele bicicletta e ho iniziato a pedalare verso la meta: City ZEN.
City ZEN è un’oasi di pace nel cuore di Milano, così come lo presenta la fondatrice Carol Brumer, un luogo dove trovare benessere ed essere allo stesso tempo di aiuto al prossimo poiché il ricavato delle attività viene totalmente devoluto alla Fondazione Francesca Rava – NPH Italia Onlus, che segue e sostiene progetti a favore di bambini disagiati, in Italia e all’estero.
Varcare la soglia di ingresso è stato come entrare in un universo parallelo, paragonato alla frenetica città esterna. L’ambiente era molto luminoso grazie alle ampie vetrate dalle quali entravano raggi di sole per nulla timidi. Sono arrivata con largo anticipo ed erano ancora in atto gli ultimi preparativi per l’evento del giorno, per cui dopo aver ritirato il mio outfit Odlo mi sono recata negli spogliatoi per cambiarmi.
Odlo è un marchio di abbigliamento nato in Norvegia nel 1915. Partito con la sola produzione di intimo femminile, ebbe una svolta nel 1963 quando Lofterød, il fondatore, sviluppò una tuta calda, elasticizzata e capace di garantire alte prestazioni per gli sciatori di fondo e i pattinatori di velocità utilizzando una fibra sintetica, la filanca. Gli fu d’ispirazione il figlio, che si stava allenando con la squadra giovanile norvegese di pattinaggio di velocità. I nuovi capi rivoluzionari Odlo cominciarono ad essere usati alle Olimpiadi Invernali del 1964 dalla squadra norvegese a cui poi seguirono numerose altre. Nel 1994 fa il suo ingresso nel mondo Running e Outdoor lanciando le prime collezioni. Oggi Odlo conta 70 anni di innovazione nel campo della tecnologia dei tessuti.
Indossando i capi si riesce a percepire immediatamente come il tessuto si appoggi sulla pelle adattandosi e rendendosi quasi impercettibile. Tutti i capi di abbigliamento sono ideati in linea con il principio “a partire dalla pelle“, ovvero procedendo dall’interno verso l’esterno, affinché si possa godere dello sport e raggiungere il massimo delle prestazioni, in questo caso dalla lezione di pilates, solo se ci si sente comodi.
Indossata la maglietta Odlo TCS (Temperature Control System) di un color arancione melone e i pantaloni capri dotati della tecnologia Climate, dalla rapida asciugatura e dalla perfetta traspirazione, mi sono diretta verso la sala dove si sarebbe tenuta la lezione e ho preso posto su uno dei tappetini posizionati.
Il pilates si divide tra:
- lavoro a corpo libero o con l’ausilio di piccoli attrezzi come il ring o il foam roller, anche chiamato mat work;
- sui grandi macchinari, tra cui il più conosciuto è il reformer.
Dopo aver zittito il brusio che si era creato in sala con l’arrivo di tutti i partecipanti, proprio come avrebbe fatto una maestra a scuola, ed essersi brevemente presentata, Debora, l’insegnante, ha iniziato con la lezione vera e propria. Si è partiti in sordina, con esercizi di respirazione, fondamentale nel pilates. E mentre la maggior parte della sala stava pensando a quanto si sarebbe annoiato durante la lezione ecco arrivare gli esercizi più intensi, principalmente per addome e glutei. Quando i muscoli hanno cominciato a bruciare nessuno ha più pensato che il pilates fosse un’attività “per femminucce”. La lezione si è poi conclusa con degli esercizi di rilassamento.
La lezione era giunta al termine, ma il mio stomaco non aveva smesso di brontolare. Ed ecco che fuori dalla sala un ricco buffet ci stava attendendo: quinoa e riso basmati con verdure, fingerfood e centrifughe varie, tutto all’insegna del benessere e della leggerezza, in perfetto stile con l’evento.
Soddisfatta per la lezione e per il buffet ho rinforcato la mia bicicletta e ho iniziato a pedalare verso l’ufficio, pensando a quanto sarebbe bello se le pause pranzo fossero sempre così.